In bicicletta verso il Rifugio Marinelli, pernottamento e l’indomani escursione in cima al Coglians, la vetta più alta del Friuli-Venezia Giulia ( con i suoi 2780 mt ) partendo da Amaro (uscita autostrada in Carnia).
Così si é configurata la 2 giorni insieme a Giovanni: questa volta non in modalità bikepacking, ma bensì zaino sulle spalle, scarpini da ciclista ai piedi e scarponi pronti per l’escursione in spalla 🙂
Siamo partiti da Aquileia in macchina imbarcando bagagli e bici e arrivando ad Amaro, in Carnia a metà mattinata.
Abbiamo iniziato a pedalare in direzione Forni Avoltri dove ci siamo fermati a prendere un po d’acqua e qualche cosa da mangiare per l’escursione dell’ indomani (un po di biscotti e frutta secca).
Da li abbiamo iniziato ad affrontare la salita, un 6/7 km per arrivare alle porte di Collina: questo tratto di strada é impegnativo, soprattutto con uno zaino sulle spalle come zavorra.
Il meteo comunque é stato dalla nostra: andare in montagna per fare delle escursioni significa prevedere e consultare il meteo per non trovarsi impreparati a condizioni avverse, non tanto perché le ferie vengono rovinate, quanto perché ill meteo può cambiare repentinamente e trovarsi a più di 2000 metri magari in pieno ghiaione per voler arrivare in vetta con pioggia e vento non é la cosa più geniale e si rischia piacevoli situazioni anche con conseguenze gravi.
Arrivati a Collina, con foto di rito al cartello d’entrata 🙂 abbiamo optato per una pausa pranzo da Canobio, un buon piatto di tagliatelle con ragù di capriolo e una birretta, il giusto apporto di sali, proteine e carboidrati prima di affrontare il sentiero dal Rifugio Tolazzi verso il Marinelli: a proposito di meteo, appena seduti a tavola ha fatto quattro gocce di pioggia… grazie a Murphy sempre dietro l’angolo 🙂 nulla di preoccupante, ha rinfrescato un po la temperatura e ci ha aiutati un po ad affrontare la salita.
Dal Tolazzi al Marinelli farla in bicicletta non é per tutti: la strada é percorribile dalle 4 ruote motorizzate, é di ghiaia e per i primi km con i tornanti in cemento poi prosegue fino al rifugio Marinelli in modalità ghiaia e pietrisco: la pendenza é sostenuta e non molla mai, ha una lunghezza di circa poco più di 7 km per una pendenza media del 12% (a detta del mio Garmin).
Io e il mio socio Giovanni abbiamo iniziato a pedalare insieme i primi tornanti dal rifugio Tolazzi, dove finisce l’asfalto ed inizia il percorso, la strada per il Marinelli: Giovanni con la mountain bike, ruote cicciotte, con battistrada tappato, manubrio flat bar e forcella ammortizzata, aveva giusto giusto anche il rapporto rampichino per poter pedalarla, non in scioltezza, ma almeno che le ruote non perdessero aderenza.
Io ho provato ad affrontare quel percorso con il mio fidato ciclocross, ruote da 35, un po di battistrada, manubrio con piega da bici da corsa, zero ammortizzatori e il rapporto più leggero… che mi sarebbe servito almeno un dente in più sull’ultimo pignone, perché il rapporto era duretto e ha fatto in modo di non riuscire a preservarmi le gambe e a far scivolare la ruota posteriore ad ogni giro di pedali, perdendo aderenza sul terreno, tanto é la pendenza e facendomi perdere un sacco di energia.
Poco male, ho detto a Giovanni che poteva andare avanti con il suo ritmo senza dovermi aspettare e che ci saremmo trovati direttamente al rifugio Marinelli, tanto la meta ultima della giornata era il pernottamento li, così ho optato per fermarmi, togliermi gli scarpini, infilarmi gli scarponi e riprendere il cammino a piedi con bici a spinta: é stato più facile che pedalare, te lo assicuro… ed in più ho avuto modo di godermi di più il panorama montano.
Dopo un po di strada ho avvistato una malga e delle mucche al pascolo sul ciglio della strada: quasi una tonnellata di placidà serenità che ti guardano incuriosite, come dire “Chi é questo e cosa ci fa a casa mia?!?!?” 🙂
Giovanni era arrivato al rifugio che a me mancavano ancora un 3 o 4 tornanti, quindi, nonstate lui in pedalata ed io a piedi, non abbiamo avuto quel grande distacco: sottolineo che lui ha più gambe e grinta di me, difficile che molli, ma pure lui mi ha confidato che é stato veramente intensa la pedalata fino in cima.
Arrivati al rifugio abbiamo potuto metterci in modalità relax e sbrago, ci siamo sistemati in camera, docciati e pronti per una birra come aperitivo gustandoci i colori del tramonto, dei monti e delle valli circostanti: emozioni e paesaggi unici.
Pronti poi per la cena, leggera leggera, lasagne di verdure con ragù di salsiccia e frico e polenta, accompagnato con mezzo lt di birra… e per finire una grappa bianca come digestivo… per digerire bene ed andare a letto contenti e soddisfatti 😀
La mattina dopo sono risucito a vedere l’alba, attraverso la finestra della camere, ma comunque colori stupendi, sensazioni che una foto non può passare ma la pubblico lo stesso per i posteri 😀
Questa era la mattinata dell’ escursione, la mia prima volta per raggiungere la vetta del Coglians.
Abbiamo fatto colazione, abbiamo preparato gli zaini portando dietro il minimo necessario per la scarpinata, cibarie, k-way/antivento, una maglia e calzini di ricambio, il mio fidato coltellino multiuso, cappellino e soprattutto acqua, che é la cosa prioritaria.
Il primno tratto del sentiero (il 143) dal Marinelli, inizia sul crinale con distesa d’erba, la montagna nuda e cruda, con le sue rocce grigie, austera e imponente sarebbe arrivata dopo alcuni chilometri.
Il secondo tratto ci ha messi di fronte al ghiaione, sembrava infinito, una distesa infinita di sassi e rocce con una pendenza che mi ha fatto pensare “Ma non é che più cercherò di salire, più scenderò a valle senza riuscire a terminare l’impresa?” la pendenza e la vastità dle ghiaione subito che raggiungeva di poco la cima, mi ha destabilizzato.
Poi abbiamo iniziato ad affrontarlo, un passo alla volta, passi corti, sguardo fisso a terra cercando di percepire il passaggio, di tanto in tanto fermandoci e controllando la situazione cercando i segni colorati bianco e rosso sulle rocce, che ci indicano la via da percorrere e poi riprendendo il cammino a testa bassa.
Ogni tanto ci fermavamo anche per riprendere fiato: per chi non é abituato, per chi non ha mai affrontato una camminata, una escursione sopra i 2000/2500 mt , consiglio di non andare impreparati, un minimo allenati perché l’aria si sente leggera ed é un momento ad andare in affanno e doversi fermare.
Camminare in montagna é prendere coscenza di dover fare piccoli passi, misurati, sentire il proprio corpo e le sensazioni che ti sussurra e saper contrattare quando c’é da fermarsi per riprendere fiato o continuare perché é solo mancanza di reale motivazione: é un equilibrio labile e solo con l’allenamento mentale é possibile apprenderlo e prenderne coscenza: un consiglio che mi sento di dare, da neofita montanaro :), ripetersi sempre di non fare mai il passo più lungo della gamba in mentale, ma anche meramente fisico.
Il ghiaione ci ha preso gran parte della salita, dell’ ascesa, finito il quale abbiamo iniziato ad avanzare in modalità “uomo ragno”, passo dopo passo, aiutandoci ed aggrappandoci con le mani alle rocce laterali.
Ad un certo punto ecco che Giovanni mi dice che “Questo é il punto in cui l’ultima volta, qualche anno fa, sono arrivato ed ho girato i tacchi per tornare giù, perché il tempo si era fatto minaccioso, pioggia, anzi nevischio, in piena estate.”
In linea d’aria penso che eravamo ad un paio di centinaia di metri dalla vetta, intravedevamo la cima ed una croce: la torretta con la campana era nascosta da un altro picco più vicino, ma ormai sapevamo che fra poco tutta la fatica, il fiatone ed il sudore sarebbero stati ripagati dallo scampanellio della campana e dalla pausa fisica e mentale appagate dalla meraviglia dei panorami che avremmo potuto ammirare dal “tetto del mondo”, in questo caso del Friuli VG 🙂
In vetta pensavo di essere gli unici, lungo l’ascesa avevamo incrociato e superato un paio di persone, padre e figlio, che ci avrebbero raggiunti dopo qualche decina di minuti, ed invece in vetta al Coglians c’erano già 4 persone.
La vista era di una magnificenza indescrivibile, il cielo terso con qualche nuvola bianca che rimaneva al di sotto dei nostri piedi, che correva come batuffoli di cotone e per andare da un versante all’altro, la nostra vista che spaziava dal Friuli all’ Austria, infatti é terra di confine… ed un venticello fresco, freddo quasi pungente: cambio di maglietta, calzettoni tirati su fino sotto il ginocchio e giacca anti vento addosso per poi sederci, mangiucchiare qualcosa, rimanendo in silenzio e ammirando tutto lo spazio intorno a noi, cime di monti a perdita d’occhio, vallate verdi smeraldo che sembravano distese infinite di velluto: dal versnte italiano si poteva vedere distintamente tutta Collina, il campeggio, Canobio, Collinetta e in lontananza Forni Avoltri.
Con queste poche righe e qualche foto sono certo che non arriverò a passare la profondità di colori e di sensazioni che questa mia piccola impresa mi ha dato, ma spero almeno di incuriosirti per provare anche tu ad andare a visitare questi posti magnifici che abbiamo in Friuli Venezia Giulia.
Bene, ora era venuto il tempo della discesa, riprendendo e rifacendo in discesa il ghiaione appena affrontato: ho preferito di gran lunga la salita perché la discesa é stata alquanto impegnativa: attenzione a non scivolare, attenzione a non impuntare i piedi rischiando di essere catapultato in avanti e quindi facendo sempre un gioco di “busto arretrato” verso il versante ed un po di fianco, quasi cercando di “surfare” il ghiaione stesso. Dopo un po avevamo preso il ritmo ed é stato “quasi” un attimo arrivare alla fine, dove abbiamo iniziato a vedere un pullurare di gruppetti di persone sparsi qua e la che stavano salendo.
Ad un certo punto Giovanni era avanti a me di qualche decina di metri, lo lascio fare ed andare col suo ritmo, resto arretrato perché avevo paura di mandargli a valle sassi e pietrisco con la mia discesa, nel mentre incrocio tre ragazzi friulani, lo so perché ci salutiamo con un “Mandi” e loro avevano un bell’ accento della Carnia, da friulani doc 😀 guardo avanti, prendo il sentiero indicato alla mia destra.
Dopo un paio di centinaia di metri vedo a sinistra Giovanni che era sopra la mia testa: poi ho fatot mente locale, lui aveva ripreso il sentiero 143, quello fatto all’andata, io, per sensazione che il sentiero mi aveva passato, avevo preso il 143a, mi sembrava più battuto e confortevole, più accessibile in discesa.
Ho allungato un po di più rispetto a Giovanni la mio giro, la mia camminata, ma mi son divertito a vedere che ci separavano oltre che la distanza, anche un bel dislivello, lui sulla cresta pratosa in alto ed io forse a un apio di centinaia di metri più in basso per poi arrivare allo stesso punto di partenza, al Rifugio Marinelli.
Siamo arrivati al traguardo che abbiamo visto il piazzale esterno del rifugio e i prati antistanti pieno di gente 🙂
Era tempo per noi due, una volta cambiati gli abiti da escursione con quelli da ciclista, dopo una birretta ristoratrice, di fare gli zaini, rimetterci in sella sulla strada di casa.
Giovanni é andato con la sua andatura, discesa Rifugio Marinelli, Tolazzi fermandosi a Canobio per la sosta pranzo in 14 minuti e rotti secondi, io con la mia calmina 10 minuti netti dopo.
Naturalmente pranzo leggero, frico polenta e salsiccia, birra da mezzo, strudel di mele appena sfornato con spruzzata di panna montata e marlmellatina allo zenzero e 2 grappini al mirtillo per chiudere bene le danze 🙂
Da li siamo ripartiti passando per il centro di Collina, Collinetta, Rigolato via avanti fino a Forni Avoltri fin giù a Ovaro, tutto senza far girare i pedali, o quasi, visto che era tutto in discesa: abbiamo rifatto quindi la stessa strada dell’andata fino a Tolmezzo, Amaro, dove ci aspettava la macchina ed una temperatura stile forno a 180°.
Con questa ultima foto, da ciclista sfatto e sbragato, finisce questa nostra avventura da ciclisti/escursionisti, tra bici e montagne in Friuli Venezia Giulia: posti unici tutti da scoprire in maniera lenta 🙂
Come sempre ti lascio con qualche foto di rito, e questa volta qualche panoramica 🙂
Un po’ nerd, un po’ ciclista con la voglia di tornare a girare l’ Etiopia