
Dal Malawi parla Ndizeye Innocent, rifugiato burundese che denuncia la grave condizione di vita per decine di migliaia di persone, prima in un contesto dei campi di accoglienza che dovevano essere temporanei, ma che perdurano da anni ed oggi l’aggravamento per i tagli al supporto umanitario globale che ricade sulle loro vite.
Per più di vent’anni ha considerato il campo profughi di Dzaleka “casa”, anche se “casa” è sempre stata una parola complicata qui. Dzaleka non è mai stata concepita come un luogo permanente, eppure per molti di loro è diventato l’unico posto che conoscono.
Nel corso degli anni, è cresciuta fino a diventare una comunità a sé stante, composta da rifugiati provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo, dal Ruanda, dal Burundi, dalla Somalia e dall’Etiopia. I bambini nati qui sono diventati genitori a loro volta. Sono sorte scuole e piccoli mercati e, in tutto questo, un nome è rimasto costante: l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, l’UNHCR.
In Malawi, l’integrazione è sempre stata irraggiungibile.
Le restrizioni governative e la politica degli accampamenti gli impedivano di stabilirsi e lavorare veramente.
Il reinsediamento, quindi, è diventato il loro sogno.
Sogno svanito da quando Trump ha tagliato il supporto all’ USAID con ricadute disastrose anche alle agenzie umanitarie ONU e il reinsediamento negli Stati Uniti è stato bloccato.
E poi l’ UNHCR: all’inizio, le voci sul futuro dell’UNHCR erano solo sussurri. La gente parlava a bassa voce: “Dicono che l’UNHCR sta chiudendo”, e “Dove andremo?”. Altri liquidavano tutto come semplici pettegolezzi.
Ma poi, Ndizeye in qualità di responsabile di zona della comunità burundese, è stato convocato a maggio per un incontro congiunto tra l’UNHCR e il Programma Alimentare Mondiale (WFP). Durante quell’incontro, hanno confermato ciò che i rifugiati avevano iniziato a temere: l’UNHCR stava riducendo drasticamente i suoi aiuti e il WFP avrebbe potuto essere costretto a fare lo stesso, a meno che non intervenissero persone solidali.
Ora i tagli ai finanziamenti hanno innescato un drastico ridimensionamento dell’agenzia, cambiando la natura del campo e alimentando il timore che possa addirittura chiudere del tutto, lasciando bloccati i suoi 56.000 rifugiati.