Negli scorsi giorni ci sono state manifestazioni pacifiche da parte degli sfollati tigrini, etiopi residenti dello stato regionale del Tigray, Etiopia, che sono stati forzatamente scappare dalle loro case o volontariamente per scappare da uccisioni, massacri, attacchi aerei o deportazioni di massa da parte delle forze etiopi, gli alleati amhara e l’esercito eritreo.
Guerra iniziata nel novembre 2020, terminata solo formalmente nel novembre 2022, quasi per nulla raccontata dalla narativa democratica ed informativa dei media in Italia. Una guerra che ha tutti i tratti del genocidio legittimato dal governo e dalle azioni degli alleati. Stime di 800.000 persone uccise, 120.000 donne di ogni età abusate e violentate, lo stupro usato come arma di guerra sistematica denota la volontà di cancellazione del gruppo tigrino. La fame usata come arma di guerra, il blocco umanitario alimentare per volontà politica, definito dal direttore dell’ OMS, il dott. Tedros Adhanom Ghebreyesus come la realizzazione dell’ “inferno in terra“.
Oggi, dopo quasi 19 mesi dalla firma dell’ accordo di “cessazione ostilità” avvenuto a Pretoria, persistono occupazione amhara (nella gran parte del Tigray occientale e meridionale, a confine con la regione Amhara) e nell’area orientale (distretto di Irob, Erob woreda, Zalambessa…) ed in altre zone su linea di confine con l’Eritrea, occupazione di soldati eritrei. Occupazioni abusive ed in violazione dell’accordo di Pretoria (CoHA).
Gli sfollati del Tigray oggi sono più di 1 milione.
Gli sfollati attendono da 18 mesi di poter tornare alle proprie case (chi ha la fortuna di averne ancora una, se non distrutta dalle forze etiopi, amahra ed eritree), ma sono sfollati da ormai 3, molti da quando è iniziata la guerra a novembre 2020.
Anche i loro rifugi temporanei e di fortuna risentono ormai del passare del tempo e degli attacchi del cambiamento climatico & del periodo della piogge, delle forti piogge e del forte vento del periodo, delle alluvioni ed allagamenti in cui devono cercare di sopravvivere.
Nonostante queste sfide esistenziali e per mero spirito di sopravvivenza, queste persone hanno manifestato pacificamente in diverse città del Tigray. I manifestanti si sono radunati pacificamente nelle principali città, tra cui la capitale regionale Mekelle, Adigrat, Axum, Adwa, Abiy-Adi e Shire.
Il media Dimtsi Weyane condivide la testimonianza dei manifestanti della città di Adigrat:
“Gli sfollati della città di Adigrat hanno invitato le persone a tornare alle proprie case non appena verrà attuato l’accordo di Pretoria.
Gli sfollati della città hanno affermato di trovarsi ad affrontare una grave crisi sociale poiché sono stati forzatamente uscire dalle loro case per quasi quattro anni. Alcuni che hanno parlato con VOA hanno aggiunto che gli sfollati interni della città non hanno accesso a cibo, alloggio e servizi medici. Il coordinatore degli sfollati interni di Adigrat, Berhane Kahsay, ha affermato che il governo etiope, la comunità internazionale, l’amministrazione provvisoria del Tigray e altri cercatori di pace dovrebbero lavorare insieme per attuare l’accordo di Pretoria e riportare gli sfollati alle loro case. Il sindaco di Adigrat, Solomon Hagos, ha affermato che la città lavorerà duramente per garantire l’integrità territoriale del Tigray e il ritorno degli sfollati alle loro case.
Mezgebe Goitom”
“Il rimpatrio degli sfollati interni del Tigray inizierà presto”
Reda Getachew, presidente del governo regionale ad interim, in concomitanza a tali manifstazioni, parlando alle migliaia di sfollati che si stanno mobilitando per chiedere un rapido ritorno a casa, ha affermato che il ritorno degli sfollati a Raya e Wolkait inizierà nei prossimi giorni, mentre per quelli del Tigray occidntale dovrebbe seguire l’esempio a breve.
“La manifestazione attuale è l’ultima degli sfollati interni, ha affermato Getachew Reda, presidente dell’amministrazione ad interim del Tigray”
Tigrai TV
Manifestazione pacifica per il ritorno degli sfollati interni nella città di Macallè il 23 giugno 2023 – Tigrai TV
Il mese scorso, il generale Tadesse Werede ha detto ai giornalisti che era stata fissata una scadenza per smantellare le amministrazioni illegali amhara nei distretti di Raya e Tselemti entro il 7 giugno e nell’area del Tigray occidentale entro il 7 luglio, aprendo la strada al ritorno sicuro di oltre 1,1 milioni di sfollati tigrini.
Le condizioni di vita degli sfollati in Tigray
I manifestanti scesi in strada a migliaia, hanno esibito striscioni e cartelli con slogan come “gli invasori devono lasciare il nostro territorio”, “Riportaci a casa”, “Attuare pienamente l’accordo di Pretoria”, “Stiamo morendo per mancanza di cibo e medicine”, “Ripristinare l’autonomia costituzionale del Tigray”, “Fermare il cambiamento demografico” (questo ultimo appello fa riferimento alla sostituzione etnica e demografica per mezzo di nuovi documenti di identità dei tigrini per volontà politica degli occupanti abusivi amhara.)
Gli sfollati hanno hanche rivendicato:
“Stiamo morendo senza guerra!”
Ed anche:
“Ascolta le nostre voci, riportaci alle nostre case, non chiederemo l’elemosina finché avremo le nostre case.”
Lo testimoniano le foto e le parole che la giornalista Ximena Borrazas continua a condividere sui suoi canali social e media: mancanza di cibo, i bambini non possono tornare a scuola, le madri elemosinano per cercare di far mangiare i figli.
“Nonostante l’accordo di pace che ha posto “fine” alla guerra nel Tigray sia stato firmato nel novembre 2022, migliaia di persone continuano a vivere nei campi profughi e nei “centri per sfollati interni” perché il terreno su cui si trovano le loro case è ancora occupato.
Durante il nostro viaggio nel Tigray c’era grande aspettativa che gli sfollati interni tornassero alle loro case entro il 1° giugno, ma ad oggi non è successo nulla.
In questi campi vivono persone che stanno lentamente perdendo la speranza. Ci sono anziani che ripensano alla loro vita di quando avevano una casa e del cibo e ora si vedono vivere in estrema povertà, mangiando cibo marcio o fungino senza che nessuno si accorgesse della loro esistenza.
In questi campi vivono donne incinte, che danno alla luce bambini che crescono emarginati. In questi campi vivono bambini che non possono studiare perché non c’è cibo con cui riempirsi lo stomaco e sono costretti a lavorare per strada fino alle prime ore del mattino.
In questi campi vivono genitori preoccupati per il futuro dei propri figli, per il futuro delle generazioni perdute. Decine di persone nascono e muoiono in questi campi.
Riesci a immaginare come dev’essere vedere le grandi organizzazioni andare in giro con i loro veicoli 4 x 4 non fare nulla per te? Organizzazioni che dovrebbero essere create per aiutare le persone in situazioni di emergenza.
La vita di queste persone non si risolve issando 4 bastoncini e un telo di plastica che non hanno nemmeno la delicatezza di cambiare. Hanno da anni lo stesso telone che perde, un telone che non li copre nemmeno dalla pioggia…”
Precedentemente Ximena ha riportato:
“Siamo tornati al centro per sfollati interni del campo 70 Kare perché volevamo trascorrere più tempo lì, per conoscere più storie, per capire come vivono le persone.
Mentre i costosi 4×4 delle ONG e delle organizzazioni internazionali percorrono le strade delle città del Tigray o li vedi parcheggiati davanti a ristoranti costosi per la media locale, migliaia di persone si trovano in un bisogno impensabile.
Il ministro della Sanità etiope ha dichiarato qualche settimana fa l’emergenza malaria ma, secondo i residenti di 70 Kare, nessuno della sanità pubblica è andato lì a distribuire la protezione, né nessuno è andato a vedere se qualcuno è infetto.
Il ciclo della vita si svolge nella marginalità degli sfollati interni; alcuni nascono lì e non conoscono altra realtà, altri crescono e altri addirittura muoiono.”
Ximena ha raccontato anche le condizioni dei bambini in strada:
“Le strade del Tigray sono piene di bambini che, nella maggior parte dei casi, non hanno più di 10 anni. Bambini che lavorano vendendo gomme da masticare dall’alba al tramonto, bambini che siedono agli angoli delle strade e agitano le manine chiedendo soldi, bambini che inseguono i passanti per elemosinare il cibo. Alcuni bambini si arrampicano sugli alberi per cogliere semi o frutti non commestibili, altri li raccolgono da terra quando cadono.
Secondo l’Istituto per i diritti umani dell’Associazione internazionale degli avvocati del gruppo parlamentare (APG) sul diritto internazionale, la giustizia e la responsabilità, circa 2,3 milioni di bambini non vanno ancora a scuola nel nord dell’Etiopia.
Visitando gli sfollati interni e i campi profughi abbiamo potuto parlare con le persone, ricordo una conversazione che ho avuto nel “70 Kare IDP centre” con Lilelti. Le ho chiesto, i bambini della tua famiglia vanno a scuola? “Sì”, ha risposto. “Ma che molti di quelli che vivono lì non frequentano tutti i giorni”
Perché no? Ho chiesto. “Perché non c’è cibo. Come possono studiare a stomaco vuoto? Non puoi”, rispose. Cosa fanno quando non vanno a scuola? Ho chiesto.
“Vanno in strada per vendere le cose che trovano nella spazzatura o elemosinare cibo per sopravvivere”, ha detto. Secondo i responsabili del centro per sfollati di Adwa, il 70% delle persone che vivono lì sono bambini.
Bambini che vivono in un’emarginazione inimmaginabile, bambini senza futuro.”
Ci sono vite distrutte, ci sono sogni infranti, c’è la speranza di un sogno nelle parole e nei volti degli sfollati, come riporta Ximena:
“Quando visito gli sfollati interni, spesso chiedo quali siano i sogni delle persone. È come disseppellire quella speranza che fa brillare i loro occhi, quell’anelito che ruba un sorriso nel buio tremendo di vivere in un tremendo abbandono.
C’è chi dice di sognare di lavorare negli alberghi, di aprire un proprio minimarket. Altri sognano di studiare. Leteziher, 65 anni, sogna di ritornare alla sua vecchia vita per continuare il suo lavoro agricolo.
Senbetu, 70 anni, ha pensato per un po’ al suo sogno, ha alzato la testa e con gli occhi vitrei ha detto “tornare a casa”.”
Poi c’è Laterfiel, una delle tante mamme sfollate che devono accudire e provvedere ai propri figli, in mezzo a mille difficoltà:
“Laterfial ha 38 anni e vive in questa stanza in un centro per sfollati nella città di Adwa con i suoi 5 figli.
Attraversando l’edificio arrivammo in un cortile dove c’erano dei bambini che giocavano a calcio sotto la pioggia. Stava parlando con altre donne, quando ci ha visto avvicinarci si è alzata e ci ha fatto cenno di accompagnarla in una stanza.
Era angosciata, voleva farci vedere il letto in cui dormiva. Era praticamente come dormire per terra; 4 gambe e una tavola di legno causano mal di schiena.
“In questa stanza mio marito è morto di fame qualche mese fa. Stiamo aspettando la sua stessa sorte”, ha detto la donna con lo sguardo vuoto.”
Le condizioni deteriorate neo campi per sfollati, precisamente questa testimonianza dal centro 70 Kare , Mekellé:
“L’abbandono e la perdita della speranza seminano il caos nel campo centrale per sfollati interni di 70 Kare.
Quando sono entrata un anno dopo ho notato un’atmosfera strana, c’era ostilità; giovani che urlavano, i pannelli solari per la luce erano scomparsi a causa di un furto e anche molti bambini hanno iniziato ad ubriacarsi di birra per far fronte alla situazione.
Camminando per le strade del campo mi sono imbattuta in Mebrat (45). Vive lì da 4 anni con 6 membri della sua famiglia. Quando il sole tramontò cominciò a preparare la cena per la sua famiglia, era riuscita a procurarsi un piccolo sacchetto di cipolle che fece cuocere sul fuoco.
Aveva un piano per rendere la porzione più grande e un po’ più abbondante; mescolando questo pezzo di Injeraa pieno di funghi con le cipolle.
La disperazione è così grande che nessuno pensa alle conseguenze del mangiare cibo cattivo. Quando la fame fa brontolare la pancia bisogna riempirla con qualcosa per andare avanti.”
Ximena Borrazás ha condiviso molte altre testimonianze: questo è il link per recuperarle e leggere le parole, le dichiarazioni, le storie di vita di molti sfollati in Tigray.
In Tigray, giugno 2024, ci sono più di 1 milione di persone sfollate in Tigray che attendono supporto, cibo, cure e di tornare alle proprie case. Attendono giustizia, tutela dei propri diritti di esseri umani.
Purtroppo i compromessi politici e i tavoli negoziali non hanno saputo ancora rispondere alle esigenze esistenziali di queste persone.
Un po’ nerd, un po’ ciclista con la voglia di tornare a girare l’ Etiopia