L’accordo elaborato il 24 marzo 2022 tra il governo federale etiope e il governo regionale del Tigray per cessare le ostilità al fine di facilitare la consegna dell’assistenza umanitaria al territorio bloccato è stato accolto con cauto ottimismo dalla diaspora tigrina.
Quanto segue è la traduzione delle parole personali del dottor Mohammed Nurhussein, un medico in pensione: opinione pubblicata su Black Star News
Alcuni hanno accolto la notizia con una forte dose di scetticismo, data la storia di molteplici promesse non mantenute fatte dal Primo Ministro Abiy Ahmed agli Stati Uniti, all’Unione Europea, alle Nazioni Unite e all’Unione Africana (UA) in momenti diversi dall’inizio della guerra al Tigray. Le vuote promesse hanno fatto guadagnare al regime il tempo di riorganizzarsi e lanciare offensive militari più e più volte.
Il Programma alimentare mondiale (WFP) ha affermato che il Tigray aveva bisogno di 100 camion carichi di cibo al giorno per mitigare la carestia derivante dal blocco. La kakistocrazia guidata da Abiy Ahmed ha consentito a un totale di 66 camion di passare nel periodo di un mese dal presunto cessate il fuoco. Ciò rappresenta il 2,2% di ciò che sarebbe necessario.
Dilagano le notizie secondo cui il governo ei suoi alleati del vicino paese dell’Eritrea e la milizia etnica Amhara stanno ammassando truppe ai confini meridionali e occidentali del Tigray per l’ennesimo tentativo di sottomettere la regione. Le bugie e gli inganni abituali sono il modus operandi di questo regime di prosperità ispirato al Vangelo e questo è diventato evidente a tutti. Inutile dire che il governo sostiene che gli aiuti stanno affluendo nel Tigray, un’affermazione contraddetta dai fatti sul campo. Ma il regime ha imparato da tempo che non paga sanzioni per le menzogne palesi. Le vittime sono quelle che soffrono la carestia nel territorio bloccato.
Questo è un modello familiare. Il primo impulso del regime di Abiy è mentire o offuscare quando si affronta un problema. Abiy non sembra rendersi conto che questo può servire solo come misura temporanea, dal momento che, come disse una volta il dottor King, “Nessuna bugia può vivere per sempre”. Quando si confronta con la verità, Abiy fa perno e diventa un capro espiatorio. Sono state fornite varie ragioni per cui gli aiuti umanitari non stanno entrando nel Tigray nel corso della guerra: le forze di difesa del Tigray (TDF) stanno bloccando la consegna; oppure, i combattenti Afar stanno ostacolando il viaggio attraverso il loro stato; oppure, la milizia Amhara sta bloccando il passaggio degli aiuti. Va avanti all’infinito.
Si potrebbe pensare che gli stati regionali di Amhara e Afar siano paesi stranieri fuori dal controllo del governo federale. Equivale ad ammettere che Abiy ha ceduto il controllo del Paese alle forze da lui create per combattere il TDF incitando al sentimento anti-Tigray con messaggi di odio. Abiy ora non è in grado o non vuole disarmare queste forze se sono effettivamente responsabili del blocco della consegna degli aiuti al Tigray. Se questo è il caso, spetta al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite stabilire immediatamente un corridoio umanitario imposto dalla forza di mantenimento della pace delle Nazioni Unite composta da truppe membri dell’UA. Allora non ci saranno scuse che qualche altra entità stia bloccando i soccorsi dal Tigray.
Non si può sottolineare abbastanza l’urgenza della situazione. Uno studio dell’Università di Gand mostra che la carestia provocata dall’uomo causata dal blocco etnocida e dalla guerra è costata la vita a mezzo milione di abitanti del Tigray, che contava meno di sette milioni. Questo è il 7% della popolazione e sarebbe l’equivalente degli Stati Uniti con una popolazione di 330 milioni di persone perdendo 23 milioni di persone.
Il tempo di agire da parte della comunità internazionale per andare oltre le espressioni di “preoccupazione” è atteso da tempo. La mancata azione li rende complici del genocidio in corso.
Non serve a nulla versare lacrime di coccodrillo mentre il numero di morti per mancanza di cibo e medicine continua a crescere. La guerra ha ora travolto anche altre parti dell’Etiopia in un’orgia di insensate violenze sull’orologio del premio Nobel per la pace Abiy Ahmed.
Un po’ nerd, un po’ ciclista con la voglia di tornare a girare l’ Etiopia