Dall’ Oromia giunge notizia di un massacro sul clan oromo Karrayyu. Il Faro di Roma ne pubblica in anteprima un approfondimento domenica 5 dicembre sotto la firma di F.B. che nel suo articolo premette:
“Purtroppo ogni possibilità di dialogo e di accordi di pace è sfumata ieri, quando è emersa la notizia di due orribili massacri avvenuti in Oromia che hanno colpito il simbolo più sacro del popolo oromo: i Capi Tradizionali del clan oromo Karrayyu che abita le rive della valle di Awash nell’area di Abadir e Merti, Etiopia centrale. I Karrayyu sono pastori e rappresentano la tradizione del popolo Oromo. I loro Capi Tradizionali sono considerati come dei semidei, in quanto detengono la cultura orale della millenaria storia degli Oromo.”
Mentre Matt Williams, giornalista per The Economist e che lavora anche con Amnesty International, ne ha scritto un sunto su Twitter il 4 dicembre dove dichiara di aver indagato sul massacro avvenuto tra l’1 ed il 2 dicembre.
“Il 3 dicembre diversi account Meta e Twitter hanno condiviso immagini raccapriccianti di corpi scoperti da qualche parte in Oromia.
Secondo le nostre fonti i Karrayyu sarebbero stati giustiziati da forze governative.
Accanto alla brutale guerra in Tigray, la guerra nella parte meridionale ed occidentale tra Oromo e governo etiope è stato un conflitto lungo ed aspro: dove il governo incolpa l’OLA – Oromo Liberation Army, per questo massacro e l’OLA incolpa il governo.”
E continua:
“AddisStandard riporta che 14 corpi sono stati recuperati il 2 dicembre e secondo testimone, le forze di polizia governative hanno rapito 41 uomini, disarmati durante una cerimonia di preghiera chiamata Waaq Kadha. La cerimonia e i rapimenti hanno avuto luogo mercoledì 1 dicembre.
Le narrazioni contrastanti sono comuni, in una dichiarazione l’ OLF – Oromo Liberation Front, il partito, ha affermato che si trattava di un incontro di pace per discutere di detenzioni e brutali perquisizioni casa per casa condotte dalle forze governative. Mentre Addis Standard (il media nazionale etiope n.d.r.) indica che era una cerimonia di preghiera.”
Secondo Abera, il testimone del media etiope, Abera, le forze di sicurezza del governo comprendenti le forze speciali Oromo, la polizia regionale e la milizia OLA, sono arrivate alla cerimonia a cui hanno partecipato molte persone.
Secondo invece la dichiarazione dell’ OLF, gli uomini sono stati effettivamente uccisi mercoledì 1 dicembre durante l’incontro organizzato tra esercito e gli anziani politici in risposta alle perquisizioni casa per casa e alla detenzione di giovani in Fandale tra il 30 novembre e l’1 dicembre.”
Abera conferma che i 41 uomini sono stati rapiti e portati ad Anole e due di loro sono riusciti a scappare e conferma che 14 corpi sono stati ritrovati il 2 dicembre a mezzogiorno.
Matt Williams riporta l’analisi nei suoi tweet riportando foto e fotogrammi video comparati con strumenti forensi per determinare la posizione del luogo di ritrovamento dei corpi, che confermano le parole di Abera.
Il giornalista conclude:
“Perché è importante tutto questo? Amnesty ha da tempo documentato una serie di presunti abusi in Oromia. A maggio 2020, mesi prima dell’inizio della guerra in Tigray tra ottobre/novembre.
Oggi però la guerra nascosta in Oromia si è fusa con l’orribile guerra in Tigray.”
Infatti il Tigray, il suo popolo è ancora sotto attacco. Domenica 5 dicembre, dopo il bombardamento dei giorni scorsi per mezzo raid aereo della difesa etiope alla diga di Tekeza, denunciato e dichiarato anche dal portavoce delle forze partigiane tigrine, e che ha lasciato in blackout tutt’oggi vaste aree del Tigray, Amhara ed Afar, c’è stato un ennesimo bombardamento da drone su area privata, casa di civili tigrini. Si sottolinea che i droni sono armi chirurgiche per obiettivi volutamente mirati: ci si chiede come mai quindi il bombardamento su case di civili tigrini.
Lo stesso giorno ad Addis Ababa, è stata organizzata una manifestazione contro il TPLF – Tigray People’s Liberation Front, in cui sono stati radunati anche i tigrini che vivono nella capitale etiope: giorni prima sono stati forzati a partecipare attraverso inviti telefonici e casa per casa: pena essere giudicati filo-terroristi con tutte le conseguenze del caso.
Da nostra fonte informata sui fatti conferma e dichiara che:
“Sì, sono stati obbligati e intimiditi ad andare a radunarsi o sarebbero dichiarati sostenitori del TPLF dovendo affrontare le conseguenze. C’erano telefonate e casa per casa a tutti i tigrini di Addis. Questo è avvenuto un giorno prima che il governo etiope trasmettesse alla televisione civili raccolti da diverse parti dell’Etiopia come prigionieri di guerra.”
Continua così la guerra di propaganda che, aggravata dal fatto che i media non hanno accesso alle aree e libertà di stampa, in quanto controllati dal governo perché vincolati dallo stato di emergenza nazionale. Infatti le narrazioni della guerra, dei crimini e dei criminali, della crisi umanitaria in Tigray e nel resto d’Etiopia, spesso sono contrastanti come per il massacro in Oromia di inizio articolo che ne da un chiaro esempio.
Oltre agli obbligati tigrini manifestanti, ce ne sono decine di migliaia in tutta l’Etiopia che sono stati internati in campi di concentramento: detenzioni, che per le loro modalità, vìolano e ledono la legge internazionale sui diritti umani come dichiarato da Amnesty e HRW – Human Rights Watch. Gli arresti sono stati mossi per il semplice sospetto che ogni tigrino possa avere collusione col TPLF perseguito dalla legge etiope per essere denunciato come organizzazione terroristica. I luoghi di detenzione per la maggior parte sono sconosciuti come molti altri aspetti, come il tempo di arresto per ogni detenuto. Si aggiunge che non solo tigrini sono presi di mezzo, ma anche uomini e donne di ogni ceto sociali. Su Focus On Africa abbiamo segnalato per esempio il recente arresto di 2 diaconi e 6 suore, tra cui una Madre Superiora delle Orsoline ad Addis Abeba.
In un video trapelato alcuni giorni fa, mostra famigliari degli arrestati di persone tigrine ad Addis Abeba, nelle vicinanze della sede dell’ Unione Africana, che attendono con cibo e materiale l’orario di visita, ma come recita la descrizione di chi ha condiviso tale video: “E’ una lotteria e quasi sempre le persone tornano a casa con il cibo”, metafora per denunciare uno stato di detenzione del tutto arbitrario e lesivo per i singoli individui, per i tigrini. Non solo ragazzi, uomini di ogni età, anche anziani, ma anche bambini, donne, neo mamme o in gravidanza.
Arriva oggi 6 dicembre 2021 il comunicato da parte di USA, Australia, Canada, Danimarca, Paesi Bassi, Regno Unito l’appello al governo etiope di fermare gli arresti di massa arbitrari ed etnici.
Si sottolinea che è la prima vera dichiarazione e presa di posizione netta e chiara di diverse Nazioni congiunte, che chiedono di fermare l’attività di arresto di massa sui tigrini.
Di seguito riportiamo per il lettori di Focus on Africa l’appello:
“Noi, Australia, Canada, Danimarca, Paesi Bassi, Regno Unito e Stati Uniti, siamo profondamente preoccupati per i recenti rapporti sulla detenzione da parte del governo etiope di un gran numero di cittadini etiopi sulla base della loro etnia e senza accuse. L’annuncio dello stato di emergenza da parte del governo etiope il 2 novembre non giustifica la detenzione di massa di individui appartenenti a determinati gruppi etnici.
I rapporti della Commissione etiope per i diritti umani (EHRC) e di Amnesty International descrivono arresti diffusi di etnia tigrina, tra cui sacerdoti ortodossi, anziani e madri con bambini. Gli individui vengono arrestati e detenuti senza accuse o udienza in tribunale e secondo quanto riferito sono tenuti in condizioni disumane. Molti di questi atti costituiscono verosimilmente violazioni del diritto internazionale e devono cessare immediatamente. Esortiamo ad un accesso tempestivo e senza ostacoli da parte di osservatori internazionali.
Ribadiamo la nostra grave preoccupazione per gli abusi e le violazioni dei diritti umani, come quelli che coinvolgono la violenza sessuale legata al conflitto, identificati nel rapporto di indagine congiunta dell’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani e dell’EHRC, e per le segnalazioni in corso di atrocità commessi da tutte le parti in conflitto. Tutte le parti devono adempiere ai propri obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario, compresi quelli relativi alla protezione dei civili e del personale umanitario e medico.
È chiaro che non esiste una soluzione militare a questo conflitto e denunciamo ogni violenza contro i civili, passata, presente e futura. Tutti gli attori armati dovrebbero cessare di combattere e le forze di difesa eritree dovrebbero ritirarsi dall’Etiopia. Ribadiamo la nostra richiesta a tutte le parti di cogliere l’opportunità di negoziare un cessate il fuoco sostenibile senza precondizioni. Fondamentalmente, gli etiopi devono costruire un processo politico inclusivo e un consenso nazionale attraverso mezzi politici e legali, e tutti i responsabili di violazioni e abusi dei diritti umani devono essere ritenuti responsabili.”
Un po’ nerd, un po’ ciclista con la voglia di tornare a girare l’ Etiopia