In Tigray dal 4 novembre è scoppiata una guerra. Da una parte la volontà dichiarata del governo etiope del democratico Premier Nobel per la Pace Abiy Ahmed Ali che intendeva muovere una veloce azione di polizia per destituire ed arrestare ogni singolo membro del TPLF – Tigray People’s Liberation Front, il partito che amministrava la regione del Tigray.
Dall’ altra un conflitto con violenze, abusi dall’ andamento di repressione etnica verso il popolo tigrino che continua ancora oggi.
Due facce della stessa medaglia, un conflitto che purtroppo non da modo di placarsi.
Tutti i tigrini ormai “ufficialmente” sono presi di mira in quanto sospetti di essere filo TPLF o meglio, persone antigovernative.
Il Tigray per mesi è rimasto totalmente in blackout, tagliato fuori dal mondo senza corrente elettrica, linee telefoniche e dati. Sono usciti e stanno uscendo indiscrezioni e notizie in maniera centellinata. Sono molti anche i report che hanno denunciato e stanno denunciando massacri su civili, deportazione di civili da centri per i rifugiati (come a Shire alcuni giorni fa), stupri e famecome armi di guerra.
Dal 1 Maggio infatti il Consiglio dei Ministri etiope ha dichiarato il TPLF alla stregua di organizzazione terroristica e da trattare come tale il gruppo ed ogni suoi membro.
Su dichiarazione del Premier, dopo che a marzo 2021 sotto pressione della comunità internazionale, ha dovuto chiarire e confessare che le truppe eritree, alleate all’ ENDF, l’esercito di difesa etiope, erano presenti fin dall’ inizio della guerra sul territorio del Tigray.
L’ Eritrea ha dichiarato che si sono dislocati sul posto per salvaguardare i propri confini col Tigray memori della guerra di rivendicazioni territoriali del 1998/2000.
Cause e dinamiche della scintilla che ha fatto scaturire la guerra vanno ancora confutate per stabilire esattamente come siano andate le cose e chi siano i veri responsabili.
Ad oggi però l’andamento denota che il sistema sanitario è quasi completamente saltato, solo nei grossi centri ci sono ospedali e supporto per i bisognosi, rifugiati e sfollati.
Nel vicino Sudan sono presenti +63000 rifugiati tigrini che hanno trovato salvezza dalla guerra.
Gli operatori umanitari non hanno capacità di operare in sicurezza e nella totalità del territorio perché bloccati molte volte dai posti di blocco delle truppe eritree.
Il Premier Abiy e il suo attuale governo dichiarano di lavorare per ripristinare la situazione in Tigray con l epoche risorse a disposizione: tutti i loro comunicati cercano di dare segnali positivi alle richieste internazionali di sedare il conflitto, di riportare il Tigray e il suo popolo in una situazione di normalità e di pace.
Lo stesso Premier etiope è stato insignito nel 2019 del premio Nobel per aver siglato l’accordo di pace assieme al Premier eritreo Isaias Afwerki (da ricordare che tra le tante cose l’ accordo ha previsto l’embargo sulle armi per l’ Eritrea).
Anche oggi l’ obiettivo principale del Primo Ministro Abiy Ahmed Ali è principalmente perseguire un’ Etiopia unita, democratica e prospera.
Purtroppo però i modi con cui vengono perseguiti questi aspetti, da un generico osservatore esterno, che non sia il governo attuale, non sembrano coerenti ed etiche con le finalità stesse.
La visione di molti tigrini è che questi stessi modi stiano ricalcando quelli usati dal TPLF, come capo coalizione al tempo del precedente governo trentennale che li ha visti amministrare l’ Etiopia.
Da un lato un governo che ha ricevuto una nota di merito da parte della Banca Mondiale per aver risollevato le sorti economiche del’ Etiopia.
Dall’ altro lato un governo dal pugno di ferro accusato di accentrare il potere e le ricchezze su di se senza condividerli con il resto della coalizione e con il popolo etiope: queste tensioni nel tempo hanno disgregato coalizione e stabilità sociale.
Per i tigrini di oggi sembra che il Premier Abiy stia ripercorrendo la stesa strada del TPLF ai tempi del EPRDF – Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front e che voglia ripagarli con la stessa moneta.
La storia denota che purtroppo le tensioni etno-politiche non sono nate oggi in Tigray, ma sembrano insite anche nella storia precedente, da generazioni: ricordiamoci che l’ Etiopia è formata da più di 80 etnie diverse, con culture, storia ed usi differenti tra loro.
Per poter far luce quindi sui fatti accaduti e che stanno accadendo in Tigray, sugli abusi, le violenze e poter capire chi sono i diretti responsabili dei vari crimini di guerra e contro l’umanità, vanno avviate indagini indipendenti e da realtà neutrale.
Ad oggi il governo etiope ha risposto alla comunità internazionale che la Commissione per i Diritti Umani etiope con azione congiunta con l’ Ufficio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite stanno pianificando per capire come muoversi ed operare: non sono state condivise altre informazioni a riguardo.
Ormai siamo arrivati sulla soglia dei 7 mesi di guerra e conflitto etnico in Tigray.
In Italia purtroppo solo media di nicchia come lo stesso Focus On Africa, scrivono e condividono quello che accade in Tigray. Per il resto, personalmente ho ricevuto testimonianze dirette da conoscenti italiani che non sapevano dell’ esistenza della guerra in Tigray fino a qualche giorno fa: ne sono venuti a conoscenza grazie ad un servizio di RAI News 24 che citava la manifestazione di tigrini a Roma.
E’ una mancanza grave e peculiare.
Le stesse dichiarazioni di Mistretta risalgono a fine marzo:
“Stiamo lavorando all’ipotesi di una visita in Etiopia del ministro degli Esteri. L’Italia segue con grande attenzione gli sviluppi del conflitto nel Tigray”
Poi nessuna altra dichiarazione pubblica è seguita.
La comunità tigrina in Italia, coalizzata con la diaspora in tutta Europa e insieme ad OMNA Tigray, un collettivo di ricercatori, professionisti e di figure per il sostegno del Tigray che cercano di dar voce a chi non ha voce, si sono mobilitati fin dall’ inizio della guerra per cercare di sollevare il problema e la questione di questo conflitto etnico e portarlo all’attenzione della comunità internazionale, chiedendo una presa di posizione pratica: stanno continuando a chiederla.
Proprio in questi giorni, dal 28 al 30 Maggio è in corso un’ulteriore campagna social, via Twitter, per cercare l’attenzione da parte di politici e persone influenti che possano chiedere azioni pratiche a quella parte politica ed umanitaria dell’ Europa che ha in mano il potere di decidere le sorti della crisi in Tigray.
Gli hashtag utilizzati per la campagna di sensibilizzazione su Twitter sono:
Sul sito OMNA Tigray c’è anche una pagina dedicata in cui trovare tweet già “confezionati” in inglese, tedesco e italiano, tematizzati e che includono tag per richiamare l’attenzione di politici in specifico.
Dall’ account ufficiale di TIGRAY Italia si possono trovare informazioni e dettagli sull’attuale campagna.
Come Focus On Africa intanto continueremo ad aggiornare e scrivere sulla situazione in Tigray, una terra ed un popolo che speriamo ben presto potranno tornare a prosperare come vuole il Premier Abiy per tutta l’Etiopia.
Un po’ nerd, un po’ ciclista con la voglia di tornare a girare l’ Etiopia