Ho letto recentemente l’intervista a Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
https://www.corriere.it/sette/attualita/7-web-rep-rifugiati-unhcr-albinati/index.shtml
Mi ha dato ispirazione per pormi delle domande e scrivere la riflessione che segue che spero possa essere altrettanto per chi la leggerà.
Non è detto che il richiedente asilo, immigrato, clandestino (o ogni altro appellativo che si da indiscriminatamente a delle persone) che dice che sta scappando dalla guerra nel suo paese debba essere una di quelle guerre che vengono segnalate come SCOOP sulle prime pagine dei giornali.
Ci sono guerre più subdole e che vanno avanti da vent’anni, come in Eritrea, e qui in Italia chi ne sa qualcosa? Eppure gli strascichi di quella guerra incide ancora OGGI sulle vite di centinaia di migliaia di persone e indirettamente sulle dinamiche del resto del mondo: basti pensare ai tanti slogan partoriti da destra e sinistra dei politici italiani, europei:
SI, NO, porti aperti, campi profughi, ruspe, ricostruzione, accoglienza… e cose varie… e intanto ci sono le vite di queste persone lasciate in sospeso, in una non vita.
Ecco che ora io mi chiedo: come si può discriminare un richiedente asilo se NON si conosce la storia da cui proviene?
Parte della risoluzione del problema sugli #immigrati è porsi anche questa domanda, soprattutto da parte di chi ha la reponsabilità di decidere politicamente delle sorti di queste persone.
Parlando invece di GUERRE attuali, voglio scrivere di quella che è iniziata in Etiopia il 4 Novembre 2020, partita per volontà del Premier etiope Abiy come un’attività di polizia per sconfiggere il TPLF, oppositore politico, e tramutatosi in un conflitto puramente etnico contro la Regione del Tigray ed il suo popolo.
La guerra in #Tigray ha prodotto già +50000 rifugiati tigrini in #Sudan
Sta producendo ancora morti.
Ci sono migliaia di rifugiati eritrei in Etiopia che condividono con i tigrigni le stesse violenze fisiche e psicologiche, perchè tanti si stanno spostando all’ interno del territorio etiope per sfuggire alla repressione, tanti stanno tentando di tornare in terra natia oblbigati da forze governative.
Qui in Italia ci vogliamo rendere conto che ormai non possiamo più voltarci dall’ altra parte?
I politici italiani vogliono rendersi conto che NON si può affrontare il problema SOLO quando si presenterà il problema alle nostre porte? Sulla banchina dei PORTI italiani?
Bisogna affrontare il problema che è un problema comune e NON si risolverò BLOCCANDO i porti e gli accessi. Così facendo si alimenterà solo il problema.
Un po’ nerd, un po’ ciclista con la voglia di tornare a girare l’ Etiopia