In Etiopia, da quando il 4 novembre 2020 è iniziata una guerra etnica e genocida verso il popolo del Tigray, regione settentrionale etiope, tra i crimini di guerra si sono svolte anche arresti, deportazioni e detenzioni illegali di decine di migliaia di etiopi di origine tigrina.
Ne abbiamo dato diversi aggiornamenti per i klettori di Focus on Africa, analisi ed approfondimenti nel corso degli ormai più di 21 mesi di questa catastrofe umanitaria del nord Etiopia.
Abbiamo riportato recentemente le condizioni di detenzione di un preciso campo a Semera, città della regione Afar dove passa anche l’unica strada di accesso per i camion del comparto umanitario.
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Le modalità di arresto e detenzione da parte delle forze dell’ordine di governo, come confermato da HRW – Human Rights Watch, hanno violato il diritto umanitario internazionale.
Nel giugno di quest’anno, la Commissione etiope per i diritti umani (EHRC) ha documentato la detenzione di circa 9000 tigrini detenuti “illegalmente e incostituzionalmente” dal dicembre 2021 nei campi di Semera e Agatina.
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Oggi giunge il messaggio da UN OCHA Etiopia – l’ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari che ha segnalato:
“Oggi a Samara, nella regione Afar, è iniziato il ritorno a casa di migliaia di sfollati interni (IDP) verso la città di Ab’ala. L’operazione di scarcerazione proseguirà nelle prossime due settimane. L’OCHA sta lavorando con i partner per garantire una transizione sicura per i rimpatriati.”
I tigrini detenuti nei campi di Semera detenuti in massa sono stati precedentemente deportati da 3 distretti in Afar sul confine con lo stato regionale del Tigray: Ab’ala, Koneba e Berhale.
Le autorità locali hanno affermato di averli trattenuti ai fini della “loro sicurezza” e in connessione con il “sospetto di crimini”.
Le condizioni di vita sono atroci, nessun servizio di base garantito, mancanza di supporto igienico sanitario. Le donne sono state separate dagli uomini, costringendo alla separazione di intere famiglie. Ci sono state delle morti per stenti per mancanza di cibo e assistenza. Non è dato sapere il numero preciso perché non è stato possibile accedervi in questo preciso campo dove hanno iniziato le scarcerazioni. Vietato l’accesso a team investigativi anche in altri campi di concentramento etnico.
L’EHRC – Ethiopian Human Right Commision ha dichiarato infatti che:
“La disponibilità estremamente limitata di aiuti umanitari e servizi medici ha causato malattie di tipo epidemico nei campi, compresa la perdita di vite umane”, ed è “aggravata dal fatto che loro non sono autorizzati a ricevere assistenza medica se non quando una donna è partoriente”.
Molte altre domande, come il numero di morti per volontà politiche, restano ancora senza risposta.
Quando queste persone torneranno alle loro case, a quel poco o nulla che avevano lasciato, di cosa vivranno?
Saranno tutelate dal punto di vista umanitario, dallo stesso governo che le ha fatte arrestare?
Ci sarà giustizia e saranno giudicati i responsabili ed i mandanti di quelle deportazioni e arresti su base etnica?
Ci si chiede anche quando partiranno i negoziati di pace, o meglio di tregua: fin tanto che non si sradicherà una cultura di odio etnico, la vera pace tarderà ad arrivare.
Un po’ nerd, un po’ ciclista con la voglia di tornare a girare l’ Etiopia