Dall’inizio della guerra in Tigray, Etiopia, sono state documentate attività di pulizia etnica. Dopo 18 mesi e molteplici report che parlano di crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati principalmente sugli etiopi di etnia tigrina, la situazione si è stabilizzata in un livello di gravità che va oltre la crisi umanitaria.
Il 90% dei quasi 7 milioni di etiopia in Tigray, fonte UNOCHA, dipendono dal supporto umanitario, alimentare e sanitario. La guerra ha coinvolto le aree delle vicine regioni Amhara e Afar creando ulteriori sfollati interni.
Il 24 marzo è stata indetta dal governo centrale “tregua umanitaria”, ma da quel giorno meno di 180 camion con materiale salvavita, cibo, medicinali e carburante sono entrati in Tigray.
L’unica via stradale percorribile è da Semera, nella regione Afar. Altre strade, una decina, che collegano la regione tigrina con il resto dell’ Etiopia, sono bloccate, non per cataclismi naturali, ma artificiosamente non percorribili e distrutte dalle truppe eritree ed etiopi.
Il governo, come stato sovrano, non ha mai dichiarato o commentato su questo fatto e nemmeno se sono in corso i lavori per la loro riapertura. Sui confini esterni in zona Amhara però sono dislocati decine di migliaia di soldati della difesa etiope, già ormai da oltre un mese.
Questi canali sarebbero ulteriori vie che aprirebbero letteralmente le strade all’accesso umanitario per il Tigray.
Le truppe eritree travestite da militari etiopi stanno bloccando gli aiuti critici nel Tigray.
Così titolava un reportage di Nima Elbagir, giornalista della CNN, che era stata in loco esattamente un anno fa per documentare la situazione disumana che stavano e stanno tutt’oggi vivendo milioni di tigrini: assediati ed isolati. Le zone di Irob, Tigray orientale confinante con l’Eritrea, è ancora occupata dalle truppe eritree nonostante la tregua umanitaria di marzo 2022. Tregua che ha ordinato al TDF, le forze partigiane tigrine, di ritirarsi dall’ Afar. Il TPLF ha dichiarato di aver seguito l’ordine di ritirata per dar modo al governo di avviare la tregua umanitaria e quindi l’accesso umanitario. Il TPLF, il partito del Tigray People’s Liberation Front, è considerato gruppo terroristico dal governo centrale: è stato al governo della regione fino al novembre 2020 e capo coalizione per 27 anni del governo dell’ Etiopia. La ritirata del TDF – Tigray Defence Forces, è stata contestata da alti funzionari della regione Afar che hanno detto che sono ancora presenti alcuni loro gruppi nella regione.
Riguardo alla tregua umanitaria e alla fornitura di cibo, medicinali e carburante in Tigray, il media Addis Standard il 29 aprile ha riportato le parole dell’ambasciatore etiope Dina Mufti, portavoce degli Affari Esteri dell’Etiopia, che ha dichiarato:
“L’Etiopia sta affrontando la carenza di aiuti da parte dei donatori internazionali”.
Alla domanda su quanto sia contraddittorio per la comunità internazionale apprezzare da un lato la recente dichiarazione di tregua umanitaria e dall’altro gli atti HR.3199 e HR.6600, sanzioni imposte ai criminali di guerra in Tigray da parte degli Stati Uniti, l’ambasciatore ha detto:
“E’ davvero un paradosso che mentre il governo etiope ha fatto tutto il possibile, compresa la tregua umanitaria senza ostacoli, la bozza dei due disegni di legge è una misura punitiva. Chiediamo agli Stati Uniti di lasciarli cadere”.
In un recente comunicato video Samantha Power, direttrice dell’ USAID – United States Agency for International Development, ha detto:
“In Etiopia, i magazzini sono pieni di cibo a cui è impedito di arrivare a milioni di bisognosi. Sono stati compiuti progressi per aumentare il flusso di aiuti precedentemente consentiti…”.
La direttrice del’ USAID ha continuato che servirebbero ulteriori ed urgenti sforzi per salvare le vite di milioni di etiopi e che i meno di 200 camion che sono arrivati in terra tigrina non bastano. Ha sottolineato che il blocco da parte delle forze governative (in contrasto con le dichiarazioni di tregua umanitaria indetta n.d.r.) deve terminare. Ne servirebbero 500 di camion a settimana costanti nel tempo per l’area del Tigray, Afar e Amhara.
I leaders occidentali invece sembrano ormai allineatisi con i buoni propositi del governo etiope: hanno applaudito l’accesso umanitario che non funziona. Stanno promuovendo e supportando il governo responsabile del blocco dell’accesso umanitario, come dichiarato da Samantha Power, mentre parlano di nuovi accordi economici per lo sviluppo e la crescita dell’ Etiopia.
Nulla da eccepire sulla pianificazione per la crescita di Finfinne, il nome storico oromo della capitale etiope Addis Abeba.
Recentemente è stato annunciato l’attivazione della rete 5G in alcuni rioni di Addis Ababa e durante il prossimo anno anche in altre parti d’Etiopia.
Peccato che il Tigray, regione da più di 6 milioni di persone, è ancora isolato e che la diaspora da 18 mesi non arriva a mettersi in contatto con i familiari per sapere se sono ancora vivi e se stanno bene.
E’ stato avviato il progetto di meccanizzazione agricola in Oromia. Mentre in Tigray:
“Per ripristinare la struttura esistente della regione, sono necessari almeno 200 milioni di birr (poco meno di 4 Mln di Euro n.d.r.) e altri 120 miliardi di birr (Poco meno di 2,4 miliardi di Euro) per riportare l’agricoltura a livelli normali. Questo non è realizzabile a questo punto, è come un sogno, forse nei prossimi 5-10 anni con l’aiuto dei nostri partner umanitari e realizzando vari progetti possiamo arrivarci.”
Queste erano le parole del capo dell’ Ufficio dell’agricoltura e dello sviluppo rurale nell’amministrazione ad interim del Tigray, il dottor Abadi Girmay, aprile 2021, più di un anno fa, e descrivevano le conseguenze della distruzione di campi, raccolti e saccheggio come arma di guerra, per affamare la popolazione tigrina.
Il resto del mondo ha rivolto lo sguardo verso l’invasione del’ Ucraina da parte della Russia.
Una guerra, invasione russa contrastata dalla resistenza partigiana degli ucraini per la loro stessa esistenza e strumentalizzata dalle super potenze per una nuova riposizione geo politica mondiale.
Nel Tigray non vi è alcuna minaccia di conflitto nucleare o ripercussioni economiche globali, mentre l’Ucraina fornisce il 12% del grano mondiale e il 17% del suo mais.
Nel contempo il direttore dell’ WHO – World Health Organization (OMS), il dr. Tedros Adhanom Ghebreyesus per l’ennesima volta, l’11 maggio ha denunciato:
“7 settimane fa è stata richiesta una tregua per il Tigray, ma solo il 5% dei rifornimenti umanitari è stato consentito. Le persone stanno morendo di fame ed è intenzionale. Il sistema sanitario è crollato. Chiedo ai governi etiope ed eritreo di porre fine all’assedio e di consentire un accesso prolungato agli aiuti.”
Come riporta il giornalista David Volodsko, troppo spesso i ferenji, i bianchi occidentali, alla reazione dei conflitti in Africa o in Medio Oriente fanno spallucce e dicano:
“Comunque quella regione non è sempre in guerra?”
Quindi la percezione delle guerre, che non è sinonimo di fatti, guidano i sentimenti nelle persone: in questo caso si potrebbe affermare che dell’ invasione russa gli occidentali hanno paura perché può arrivare “in casa” e gli europei ne sentono già tutto il peso sulle spalle, non solo su una potenziale escalation nucleare del conflitto che coinvolgerebbe globalmente tutti, ma anche dal punto di vista prettamente delle risorse in gioco: sanzioni che si ripercuotono sull’economia non solo russa degli oligarchi, ma anche fonti energetiche e primarie messe in gioco non solo per gli ucraini. Un’invasione in “real time” canalizzata sui social e sotto i riflettori del mondo.
Citando ancora un recente articolo di Volodsko per Nation:
“Infine, il governo etiope ha interrotto l’accesso a Internet nel Tigray il 4 novembre 2020, subito prima che scoppiassero i combattimenti, contribuendo ulteriormente alla nostra mancanza di conoscenza di ciò che sta accadendo lì. Il Tigray è tutt’altro che l’unica regione che è stata tagliata fuori dal resto del mondo in questo modo. Secondo un rapporto del 2021 dal gruppo per i diritti civili digitali, Access Now, l’anno scorso le autorità hanno interrotto l’accesso a Internet almeno 182 volte in 34 paesi, inclusi 12 paesi africani. Come in Cina, Russia, Corea del Nord e altrove, il controllo dell’accesso a Internet è un mezzo per limitare la democrazia. Ma il Tigray si trova in una delle peggiori situazioni al mondo. La chiusura più lunga in corso, nelle aree tribali ad amministrazione federale (FATA) del Pakistan, è durata cinque anni e mezzo, seguiti da meno di due anni nello stato di Rakhine in Myanmar e un anno e mezzo nel Tigray. Tuttavia, come ha osservato Tedros, il Tigray contiene oltre 7 milioni di persone, mentre ci sono solo 5 milioni nelle FATA e 3 milioni nel Rakhine.”
“Non so se il mondo presti davvero la stessa attenzione alle vite dei bianchi e dei neri”, ha detto il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus e continua:
“Questo è uno degli assedi più lunghi e peggiori della storia moderna. Ci sono 7 milioni di persone isolate dal mondo esterno da 18 mesi. Non parlo con i miei parenti in Tigray da 18 mesi, perché le telecomunicazioni sono interrotte. Stanno morendo di fame. Ma non posso inviare denaro perché le banche sono chiuse”
La direttrice dell’ USAID, Samantha Power ha dichiarato che in Tigray non c’è una crisi umanitaria, ma è in atto una catastrofe.
Con il benestare della comunità occidentale che per un anno ha condiviso comunicati di preoccupazione e denuncia verso le atrocità avvenute in quella regione etiope, sembra non avere il potere o la volontà di agire per salvare la vita di milioni di etiopi che stanno vivendo in un limbo tra vita e morte, ma forse troppo lontani per essere salvati.
Foto di copertina: Fonte CNN – Latebrahan, sette anni, giace su una barella all’Axum University Teaching and Referral Hospital, doveun anno fa (maggio 2021) veniva curata per malnutrizione.
Un po’ nerd, un po’ ciclista con la voglia di tornare a girare l’ Etiopia