Sono morti almeno 1900 bambini sotto i 5 anni causa malnutrizione nello Stato Regionale del Tigray, regione settentrionale dell’Etiopia: decessi registrati tra giugno 2021 ed aprile 2022.
“Poiché non possiamo accedere alla maggior parte delle aree, non sappiamo cosa sta succedendo a livello di comunità”, ha affermato un medico, che ha chiesto l’anonimato per paura di rappresaglie. “Queste sono semplicemente le morti che siamo riusciti a registrare nelle strutture sanitarie”.
Testimonianze recenti, condivise da Tigrai TV, dell’ospedale di Mekellé parlano di carenza quasi totale delle scorte mediche, di cibo senza possibilità di pagamenti ai medici, ai professionisti ed operatori sanitari. Mancanza di farmaci da banco ed impossibilità dell’ospedale di fornire servizio pasti ai pazienti. Viene riportanto anche che i bambini stanno nascendo prematuramente a causa dell’assedio esasperato in Tigray: gli operatori sanitari stanno utilizzando indumenti donati da civili come garze e riutilizzano articoli “usati una tantum” come i guanti chirurgici per aiutare i pazienti.
In totale contrasto con le parole del premier etiope Abiy Ahmed che ha riferito alla BBC il 21 giugno 2021 “Non c’è fame in Tigray”.
La situazione umanitaria in tutti questi mesi si sta gravemente deteriorando come conseguenza del mancato accesso umanitario nel territorio tigrino per volontà politiche.
Queste testimonianze sono una piccola parte delle gravi conseguenze della guerra iniziata nel novembre 2020 ed in cui si sono perpetrati crimini di guerra e crimini contro l’umanità imputati alle forze di difesa etiope ENDF ed agli alleati, forze speciali e milizie amhara e dalle truppe eritree (ancora occupanti gran parte del Tigray e distribuite ormai nella difesa etiope).
Guerra in cui c’è stata una campagna sistematica di distruzione e saccheggio dell’ 80% delle strutture sanitarie, l’attacco ad aree di culto, monasteri e chiese, campi, raccolti bruciati o distrutti, centinaia di migliaia di abusi di genere come atto di vendetta. I report delle agenzie umanitarie ad oggi sono riusciti a riportare solo la punta dell’ iceberg di quello che hanno realmente dovuto subire le donne tigrine di ogni età e ceto sociale. Stime ufficiali comprovate parlano di 120.000 donne, ma sarebbero molte di più. La non accessibilità a quelle aree di guerra e disumanità, per scelte politiche, ha fatto in modo di non poter indagare in maniera indipendente su cosa sia accaduto facendo perdere tracce, oscurare o cancellare prove dei crimini.
Avevamo anche riportato su Focus on Africa la testimonianza di Filsan Abdim, ex Ministro delle donne, infanzia e della gioventù, dimessasi repentinamente per “motivi personali”. Filsan aveva denunciato la volontà di alte cariche governative etiopi di voler insabbiare le prove raccolte sugli stupri in Tigray.
Sono ancora decine di migliaia gli etiopi di origine tigrina deportati in campi di prigionia, alcuni dei quali in località imprecisate, arrestati per essere “sospetti terroristi”. Le modalità di prigionia, di arresto, come denunciato da HRW – Human Rights Watch, sono in contrasto con la legge del diritto umanitario internazionale. Ad oggi di quelle decine di migliaia di tigrini non si hanno notizie del loro rilascio o del loro destino.
A Irob Woreda (distretto), nel Tigray nord orientale, “i rapporti indicano che oltre 33.000 persone (il 65% della popolazione in quell’area) stanno affrontando un’estrema insicurezza alimentare e hanno ricevuto assistenza limitata”, ha detto l’UNOCHA. 87.000 sfollati nella zona est a marzo 2022, secondo fonte ONU.
La comunità Irob è uno dei due gruppi minoritari nello stato regionale del Tigray, ed è sotto l’occupazione delle forze eritree dal novembre 2020. Già ad aprile 2021, un anno fa su Focus On Africa avevamo denunciato la già grave condizione di vita delle minoranze etniche Irob e Kunama.
Sono stati uccisi in raid aerei e per mezzo droni, anche migliaia di civili tra cui bambini, bombardando anche aree sensibili come campi IDP per rifugiati eritrei.
La guerra è stata combattuta in totale blackout elettrico e comunicativo tra il governo etiope ed i membri del partito TPLF – Tigray People’s Liberation Front denunciati di essere “ribelli” e giudicati terroristi come i partigiani tigrini del TDF – Tigray Defence Forces che hanno iniziato a combattere una guerra per la loro propria stessa esistenza.
Il segretario americano Blinken ha dichiarato già ad inizio 2021 attività di pulizia etnica. Anche l’inviato speciale in Etiopia Pekka Haavisto per conto dell’ Europa, aveva riportato dichiarazioni sconcertanti ricevute da alti funzionari etiopi: “Quando ho incontrato la leadership etiope a febbraio (2021), hanno usato davvero questo tipo di linguaggio, che distruggeranno i tigrini, annienteranno i tigrini per 100 anni e così via”, ha detto l’inviato aggiungendo: “Se cancelli la tua minoranza nazionale, beh, che cos’è? Non puoi distruggere tutta la gente, non puoi distruggere tutta la popolazione del Tigray. E penso che sia molto ovvio, che dobbiamo reagire, perché ci sembra una pulizia etnica. È un atto molto, molto serio se questo è vero”. Gran parte confermato dall’ultimo report congiunto tra HRW ed Amnesty International, “Ti cancelleremo da quersta terra” dove confutano e confermano attività di pulizia etnica nei confronti degli etiopi di origine tigrina.
Il 28 giugno 2021 il governo aveva dichiarato un “cessate il fuoco unilaterale”, dopo la riconquista della capitale Mekellè da parte dei partigiani tigrini. Le autorità etiopi insistono sul fatto che non vi sia alcuno sforzo deliberato per prendere di mira i civili del Tigrai. Hanno esortato i combattenti del Tigray ad arrendersi. Ancora oggi però, dopo più di 530 giorni, il Tigray è isolato nonostante il 24 marzo 2022 il governo centrale abbia dichiarato “tregua umanitaria”.
Ad oggi i servizi bancari, le linee telefoniche e i collegamenti stradali sono tutti inattivi nella regione, una situazione che secondo le Nazioni Unite equivale a un “blocco de facto”. Secondo i dati delle Nazioni Unite, oltre il 90% dei 5,5 milioni di persone del Tigray necessita di assistenza umanitaria, inclusi 115.000 bambini gravemente malnutriti. Circa 700.000 persone nel Tigray sono in preda a “condizioni simili alla carestia” a causa dell’ostruzione degli aiuti umanitari. Milioni di sfollati interni. Uno studio dell’università belga di Ghent realizzato a metà marzo ha stimato un possibile scenario di 500.000 di morti a causa della guerra, di cui 150/200.000 per fame o mancanza di cure mediche.
Il governo del Tigray, a firma del Presidente Debretsion GebreMichael, mercoledì 20 aprile 2022 scrive una lettera aperta al Segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres che riportiamo integralmente. Parole che riecriminano sia le promesse non mantenute del governo centrale nei confronti della protezione e supporto umanitario verso il suo popolo, sia la mancata risposta con azioni concrete e forti da parte della comunità internazionale per mettere in salvo i più di 6 milioni di etiopi in Tigray.
Lettera aperta del governo del Tigray al segretario generale delle Nazioni Unite
Sua Eccellenza il Sig. Antonio Guterres, Segretario Generale, Nazioni Unite, New York
Vostra Eccellenza ,
Vi scrivo per evidenziare le molteplici crisi che attualmente affliggono l’Etiopia, mettendo in pericolo l’integrità dello Stato e minacciando di lacerare il Paese. Attualmente, l’Etiopia è nel mezzo di sconvolgimenti sociali, economici e politici catastrofici le cui ramificazioni si riverbereranno per le generazioni a venire. Alla radice delle crisi apparentemente insormontabili del paese c’è la dichiarazione e il perseguimento feroce di una guerra genocida sul Tigray, che ha provocato una massiccia dislocazione e scatenando una conflagrazione che ha metastatizzato in tutto il paese.
Allo stesso tempo, da parte della comunità internazionale, vi è stata una presunzione purtroppo errata secondo cui la decisione delle forze del Tigray di ritirarsi dalle regioni vicine a dicembre fosse stata sufficiente per garantire la pace e la sicurezza dell’Etiopia. In realtà, il dispiegamento delle nostre forze al di fuori del Tigray è stato il risultato, non il motore, delle crisi che hanno sconvolto il Paese. Restano però le condizioni che hanno dato luogo all’avanzata delle nostre forze verso il centro del Paese. Una serie di decisioni fatali e avventure sconsiderate da parte della leadership centrale e dei suoi alleati hanno reso l’Etiopia una scatola di esca infiammabile. Non c’è dubbio che l’attuale status quo sia insostenibile, pieno com’è di una serie di elementi socioeconomici, politici e di sicurezza interconnessi che, se non presi in considerazione con urgenza, porteranno al crollo dello stato e alla disintegrazione del paese tessuto sociale, che è già appeso a un filo.
Un tragico elemento che accelera il viaggio del Paese verso l’abisso è il blocco crudele e disumano del Tigray, che mette milioni di persone a rischio di morte per fame. Il capo dei soccorsi delle Nazioni Unite, Martin Griffiths, aveva evidenziato l’impatto deleterio del “blocco di fatto” del Tigray sulle operazioni umanitarie mesi fa. Mentre gli aiuti limitati, lungi dall’essere sufficienti per soddisfare le crescenti esigenze, erano entrati nel Tigray da luglio a metà dicembre, nessun aiuto umanitario è stato consegnato via terra da metà dicembre fino alla fine di marzo. In effetti, negli ultimi 4 mesi, nel Tigray sono arrivati solo 67 camion carichi di rifornimenti, che rappresentano solo il 6 % di quanto necessario per soddisfare le crescenti esigenze.
Ad aggravare questa colossale crisi umanitaria c’è la sospensione dei servizi sociali ed economici essenziali. Blackout totale di elettricità e telecomunicazioni; la carenza di beni di prima necessità; e la sospensione dei servizi bancari e di trasporto hanno devastato il Tigray. La decisione inconcepibile di sospendere i servizi bancari è particolarmente straziante, poiché milioni di tigriani non sono stati in grado di accedere ai loro sudati risparmi, esponendoli a difficoltà estreme. Inoltre, i tigrini nella diaspora non possono inviare rimesse ai loro parenti nel Tigray, oa qualsiasi tigrino bisognoso in generale.
Il blocco del Tigray, l’ostruzione intenzionale delle operazioni umanitarie, la negazione dell’accesso umanitario ai civili e la sospensione dei servizi vitali hanno un obiettivo prioritario: utilizzare la fame e la sofferenza dei civili come strumento di guerra, un crimine di guerra secondo il diritto internazionale come così come un’oscenità morale che nessun essere umano dovrebbe sopportare o sopportare. In breve, è un assalto all’umanità. Il popolo e il governo del Tigray non possono continuare a tollerare a lungo questo incombente pericolo per la loro sopravvivenza come popolo.
Non sorprende che migliaia di Tigrini siano già morti, direttamente e indirettamente, a causa della guerra e del successivo assedio. A parte il dilagante omicidio extragiudiziale di migliaia di Tigray, la fame e la mancanza di medicine di base hanno provocato migliaia di morti in tutto il Tigray. Dato che, anche dopo la dichiarazione del regime di una “tregua umanitaria”, la situazione umanitaria nel Tigray rimane sostanzialmente inalterata, queste morti evitabili continueranno senza sosta in assenza di un significativo intervento internazionale.
Inoltre, è un fatto ben documentato della guerra al Tigray che i nostri avversari abbiano fatto tutto il possibile per distruggere l’economia del Tigray, anche saccheggiando e distruggendo i mezzi di sussistenza dei singoli Tigray. Tra le altre cose crudeli, avevano ucciso, mutilato e altrimenti saccheggiato bestiame, bruciato semi e fertilizzanti. Al momento, se i nostri agricoltori non possono ottenere i semi ei fertilizzanti di cui hanno bisogno per la prossima stagione agricola, la già disastrosa crisi del Tigray prenderà una brutta piega.
Un secondo elemento che evidenzia il profondo malessere strutturale dell’Etiopia è la debilitante crisi economica che sta devastando il paese nel suo insieme, esponendo milioni di etiopi a immense sofferenze e rendendo l’accattonaggio una parte fondamentale della “politica economica estera” del governo. Il disegno di legge umanitario derivante dal crollo della produzione alimentare, dall’inflazione dilagante e dall’interruzione dei servizi e dei mercati sarà consegnato alla comunità internazionale dei donatori. Nessuna società può continuare ad assorbire tali shock senza perdere la sua capacità di recupero.
Un terzo elemento che mette l’Etiopia ad alto rischio di disintegrazione violenta è la proliferazione di conflitti comunitari in gran parte del paese. Poiché le istituzioni centrali dello stato falliscono, ha perso la sua capacità di trasmettere autorità, mantenere la legge e l’ordine e rispondere ai bisogni della società. Di conseguenza, le sfide centrifughe allo stato abbondano, spingendolo sull’orlo di un disastroso fallimento. Purtroppo, il coinvolgimento attivo del governo federale nell’alimentare i conflitti è il principale colpevole della drastica erosione dell’autorità statale, contribuendo all’intrattabilità dei problemi del paese.
Un quarto elemento è l’occupazione in corso di parti dell’Etiopia da parte delle forze eritree insieme alla penetrazione eritrea di settori chiave dell’economia etiope. L’Eritrea è stata a lungo una forza destabilizzante nella regione e il regime eritreo, a quanto pare, vive di turbolenze. L’occupazione diretta da parte dell’Eritrea dei territori del Tigrino , così come la sua coltivazione di relazioni subnazionali parallele all’interno dell’Etiopia, si aggiungono alla natura irresolubile dell’aggravarsi della crisi politica del paese. Dal momento che il regime dispotico in Eritrea vede la pace come una minaccia esistenziale, non ha alcun rimorso a usare ogni strumento a sua disposizione, compresa la forza, per impedire gli sforzi per realizzarla. In assenza di una strategia ben ponderata per gestire o marginalizzare questo spoiler, la ricerca della pace sarà sfuggente.
L’ultimo elemento che si aggiunge ai guai del Paese è una leadership centrale che attribuisce il primato alla gestione quotidiana delle crisi, evitando di affrontare questioni difficili. Il principale successo politico dell’attuale governo è persuadere la comunità internazionale che le attuali turbolenze sono normali. Di conseguenza, i membri della comunità internazionale, comprese le Nazioni Unite, ricorrono regolarmente alla prescrizione di palliativi che forniscono un sollievo temporaneo invece di trattare i fattori sottostanti che hanno causato la malattia in primo luogo.
Signor Segretario Generale, la prego di non commettere l’errore di credere che l’attuale status quo sia sostenibile o che l’atteggiamento della comunità internazionale stia salvando lo stato etiope. fa l’effetto opposto..
Nelle ultime settimane del 2021, le forze del Tigray si sono ritirate da una posizione militare di comando sulla base delle promesse ricevute che ci sarebbero stati negoziati credibili e rapidi verso una soluzione pacifica del conflitto, la fornitura di aiuti umanitari immediati e senza restrizioni al Tigray e la fine al blocco. Queste promesse devono ancora essere mantenute.
Infatti, nonostante le reazioni positive alla recente ‘tregua umanitaria’, la comunità internazionale in generale, e alcuni potenti attori in particolare non sono riusciti a fare pressioni sul regime di Abiy affinché mantenesse la sua promessa di facilitare l’accesso umanitario illimitato al Tigray. La comunità internazionale ancora una volta non è riuscita a fare pressione sul regime di Abiy affinché capitalizzi la limitata finestra di opportunità generata dalla tregua temporanea e faciliti la consegna di aiuti sostenuti coerenti con l’enormità dei bisogni sul campo. Invece, la comunità internazionale ha scelto di elogiare il regime nonostante abbia concesso solo il 6% degli aiuti necessari al Tigray. Così incoraggiate, le autorità continuano a fare vuote promesse che non hanno intenzione di mantenere. Prendendo di riflesso sul serio la vuota retorica del regime, tragedia, la comunità internazionale è diventata effettivamente complice della sofferenza di milioni di persone. Dopotutto, l’impunità genera ulteriore crudeltà.
Sorprendentemente, la comunità internazionale continua a ripetere a pappagallo le infinite condizioni delle autorità federali e regionali per adempiere ai loro obblighi umanitari. Il governo del Tigray ha sempre espresso il proprio impegno a fare tutto il possibile per facilitare la fornitura di aiuti non solo ai milioni di Tigray in disperato bisogno, ma anche a tutti coloro che ne hanno bisogno nelle regioni vicine. Il recente ritiro delle forze del Tigray da Erebti è indicativo di questa posizione di principio. Tuttavia, invece di cogliere questa opportunità e fare pressioni sulle autorità etiopi e sui loro alleati regionali affinché si basino sugli scarsi progressi compiuti, la comunità internazionale e alcuni potenti attori stanno collegando inutilmente questioni umanitarie e politiche.
Questo approccio è tanto più sconcertante alla luce del fatto che le forze d’invasione continuano ad occupare vaste aree del Tigray. La regione di Amhara ha annesso con la forza un territorio del Tigrino costituzionalmente riconosciuto; oltre a fornire la forza militare che sostiene questa annessione illegale, l’esercito eritreo continua ad occupare parti del Tigray nord-occidentale, centrale e orientale. L’indifferenza della comunità internazionale nei confronti del sequestro forzato dei territori del Tigray, da un lato, e le insistenti richieste alle forze del Tigray di lasciare le loro limitate posizioni difensive al di fuori del Tigray come condizione per la fornitura di aiuti umanitari, dall’altro, sono fondamentalmente in contrasto con l’equità di base e le regole e le norme che regolano la guerra.
Il governo del Tigray è impegnato a una risoluzione pacifica dell’attuale conflitto. La presenza delle nostre forze ad Afar ha essenzialmente mirato a neutralizzare una chiara e presente minaccia alla sicurezza e in linea di principio siamo impegnati a un ulteriore ritiro delle forze del Tigray dal territorio di Afar. Allo stesso tempo, ci sono pochi passi critici che riteniamo debbano compiere la comunità internazionale e le autorità etiopi. In primo luogo, devono esistere corridoi umanitari sicuri per la consegna di aiuti umanitari vitali alla popolazione del Tigray. In secondo luogo, ci deve essere un sistema in atto per facilitare la fornitura di assistenza umanitaria sostenuta, illimitata, tempestiva e adeguata. La questione della consegna degli aiuti umanitari non dovrebbe essere ridotta al fatto che alcuni camion arrivino o meno nel Tigray in un determinato giorno. Piuttosto, il problema è se esiste o meno un sistema in atto per facilitare il flusso di aiuti regolare, sufficiente e illimitato nel Tigray. La consegna degli aiuti nel Tigray non deve essere trattata come un atto di carità da attivare e disattivare secondo i capricci delle autorità etiopi. In terzo luogo, occorre elencare l’abominevole blocco del Tigray e ripristinare i servizi socioeconomici essenziali. Infine, l’attuazione di queste condizioni deve essere verificata da un’entità internazionale imparziale, come le Nazioni Unite, in consultazione con le parti interessate. e ripristinati i servizi socio-economici essenziali. Infine, l’attuazione di queste condizioni deve essere verificata da un’entità internazionale imparziale, come le Nazioni Unite, in consultazione con le parti interessate. e ripristinati i servizi socio-economici essenziali. Infine, l’attuazione di queste condizioni deve essere verificata da un’entità internazionale imparziale, come le Nazioni Unite, in consultazione con le parti interessate.
Mentre osserviamo la risposta internazionale ai conflitti armati e ai disastri umanitari in altri continenti, siamo incoraggiati a testimoniare che le Nazioni Unite e i suoi Stati membri agiscono con coraggio e decisione a sostegno dei principi fondamentali del diritto internazionale e dell’umanità. Tuttavia, siamo delusi dal fatto che la risposta internazionale alla tragedia in corso nel Tigray non sia stata infusa con una frazione dell’urgenza con cui la comunità internazionale ha agito nell’affrontare crisi umanitarie altrove.
Soprattutto, riteniamo che la formula per risolvere la crisi etiope inizi con l’affermazione dei principi fondanti delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana. Il più fondamentale di questi principi è l’affermazione pratica del diritto alla vita per i milioni di civili del Tigray che stanno affrontando la fame. Segue il mantenimento della sovranità del Paese, che, tra l’altro, comporta il ritiro incondizionato delle forze eritree. Solo allora gli etiopi possono iniziare ad affrontare le loro sfide politiche senza maligne interferenze straniere.
In conclusione, dovrebbe essere chiaro che la nostra preferenza è quella di porre fine a questo tragico conflitto con mezzi pacifici. C’è stata abbastanza morte e distruzione. Tuttavia, in assenza di un processo credibile per realizzare la pace, non possiamo continuare a guardare i nostri cittadini che muoiono di fame e malattie facilmente prevenibili. Di conseguenza, se le opzioni pacifiche non saranno più praticabili, saremo costretti a ricorrere ad altri mezzi per rompere il devastante blocco che ha reso il Tigray l’inferno sulla terra.
Lei , signor Segretario generale, ha una notevole autorità morale che può mettere a frutto. Vi chiediamo di usare la vostra posizione per aiutare ad arrestare la discesa dell’Etiopia nel tumulto e nello spargimento di sangue.
Per favore, signor Segretario generale, accetti le assicurazioni della mia più alta considerazione.
Presidente Debretsion GebreMichael (PHD)
Foto di copertina: Una bambina di Mekelle riceve una razione di pane per la colazione da un lavoratore di una ONG locale, Keradion, che fornisce un magro sostegno ai bambini colpiti dalla guerra. La foto ha spezzato il cuore dei tigrini che la stanno condividendo sui social media.
Un po’ nerd, un po’ ciclista con la voglia di tornare a girare l’ Etiopia