In Etiopia, venerdì 7 gennaio 2022 sono stati liberati politici del TPLF – Tigray People’s Liberation Front e dell’ OFC – Oromo Federalist Congress.
Il Premier etiope, nel discorso di Natale aveva dichiarato che:
“Uno degli obblighi morali di un vincitore è la misericordia”.
I raid aerei in Tigray intanto non si fermano, nemmeno dopo il ritiro dei partigiani tigrini.
In una nota l’Alto Commissario dell’ UNHCR, Filippo Grandi, ha fatto sapere giovedì che era stato bombardato un campo di accoglienza per rifugiati a Mai Aini, nei pressi della città di Mai Tsebri. Filippo Grandi ha dichiarato anche che:
“Sono profondamente rattristato nell’apprendere che 3 rifugiati eritrei, 2 dei quali bambini, sono stati uccisi ieri in un attacco aereo che ha colpito il campo profughi di Mai Aini, nel nord dell’Etiopia”
E nel comunicato condiviso per mezzo social su Twitter ha sottolineato che:
“I rifugiati non devono essere un target.”
Le Nazioni Unite non hanno specificato chi ha effettuato il bombardamento, ma solo il governo etiope ha forza aerea nell’area.
Il portavoce del governo Legesse Tulu e il portavoce militare Getnet Adane non hanno risposto immediatamente alle richieste di commento da parte di Reuters.
Sabato 8 gennaio 2022 è avvenuto l’ennesimo raid aereo nel Tigray occidentale, in zona Dedebit.
Gerry Simpson, Direttore Associato, Crisi e Conflitti per HRW – Human Rights Watch per mezzo Twitter ha comunicato che:
“La guerra in #Tigray ha spostato quasi 2 milioni di persone dalle loro case a cui è stato negato l’aiuto sotto l’effettivo assedio della regione da parte delle autorità #Etiopia e ora gli operatori umanitari affermano che l’attacco aereo ha ucciso almeno 56 persone e ne ha ferite 30 nel campo in Dedebit”
Mentre il portavoce del TPLF, Getachew Reda ha affermato:
“Un altro insensibile attacco di droni da parte di Abiy Ahmed in un campo di sfollati interni (IDP) a Dedebit ha causato la morte di 56 civili innocenti finora”
In tutto questo il governo etiope in precedenza aveva negato di prendere di mira i civili.
Dal 18 ottobre 2021 almeno 146 persone sono state uccise e 213 ferite in attacchi aerei, secondo un documento preparato dalle agenzie umanitarie e condiviso con Reuters: 41 attacchi aerei, il più mortale è stato quello del 16 dicembre 2021 nella città di Alamata, area del Tigray meridionale, che ha ucciso 38 persone e ferito 86.
Ad oggi l’amnistia per alcuni politici scarcerati, l’ipotesi interpretabile come una tesa di mano per trovare una via per la pace, non è così attendibile e credibile visto le azioni belliche ancora in atto e soprattutto con civili come target.
In tutto questo contesto molte zone del nord Etiopia sono ancora inaccessibili da parte del supporto e materiale umanitario salva vita. Dal Tigray sono giunte testimonianze più che allarmanti. Il 4 gennaio 2022 i medici e altri operatori sanitari dell’ Ospedale di Ayder – College of Health Sciences della Mekelle University hanno condiviso un appello (questo è il comunicato integrale in italiano) in cui denunciano la catastrofe umanitaria, perdita di vite per mancanza di materiale sanitario di base, di primo soccorso, di acqua e carburante, come per altro di cibo: molte persone, tra cui bambini arrivano all’ospedale sotto la soglia di mal nutrizione, alcuni in fin di vita, subendone le gravi o mortali conseguenze.
Il portavoce del governo Legesse Tulu lunedì, come ha riportato Reuters, ha ribadito la posizione dell’Etiopia secondo cui non era stato imposto alcun blocco. Non ha risposto alle domande sulle carenze riportate da Ayder.
“Quello che sta accadendo in Tigray attualmente è di esclusiva responsabilità del TPLF”, ha detto Legesse.
Le Nazioni Unite, di tutt’altra posizione, hanno lanciato per la prima volta l’allarme sulla mancanza di accesso al Tigray nel dicembre 2020, ormai 13 mesi fa.
Questo è quello che sta accadendo: un medico senior di Ayder ha sottolineato a Reuters che circa l’80-90% degli ospedali e delle cliniche del Tigray non funzionano. Le Nazioni Unite affermano che oltre il 90% dei 5,5 milioni di persone della regione ha bisogno di assistenza umanitaria e 400.000 vivono in condizioni simili alla carestia.
La percentuale di bambini sotto i 5 anni ricoverati per malnutrizione grave è quasi raddoppiata, superando il 41% in ottobre.
La comunità internazionale grida parole di preoccupazione ed allarme ormai da più di un anno, ma la situazione non sembra sbloccarsi, come per altro l’accesso in Tigray. Lo denota anche l’appello di sabato 8 gennaio di Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Comunità Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza:
“Il rilascio dei leader dell’opposizione politica e l’istituzione della Commissione di dialogo nazionale sono passi positivi in #Etiopia . Ma il conflitto continua, compreso l’attacco aereo di oggi che uccide molti civili. Tutte le parti devono impegnarsi per porre fine al conflitto e avviare un dialogo.”
La stessa comunità internazionale appellata dalla diaspora che chiede un’azione concreta per salvare amici e familiari, per i quali la maggior parte, non arrivano a contattare e sapere le loro condizioni da più di un anno.
Un po’ nerd, un po’ ciclista con la voglia di tornare a girare l’ Etiopia