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Etiopia, che fine hanno fatto i camion dei soccorsi in Tigray?

28/09/21 by Davide Tommasin

La situazione di catastrofe umanitaria in Tigray perdura ancora oggi dopo quasi un anno, conseguenza di una guerra iniziata il novembre 2020 per volontà del governo centrale etiope di attuare una veloce azione di polizia per fermare tutti i membri del TPLF – Tigray People’s Liberation Front accusati di dissidenza. Conflitto che dai primi istanti ha dato i tratti di un’ “attività di pulizia etnica” come l’avrebbe descritta alcuni mesi dopo il Segretario americano Blinken, dopo essere stato aggiornato da inviati USA per constatare i fatti sul campo, attingendo testimonianze dirette dai più 60.000 rifugiati tigrini accolti nel vicino Sudan, oltre che dal governo centrale.

In questo contesto di attività disumane si sono perseguite fin tanto che oggi si parla anche di abusi di genere su donne di ogni età e ceto sociale e fame indotta da scelte politiche ben precise come armi di guerra.

Da report di svariante agenzie umanitarie tra cui Amnesty International e MSF – Medici Senza Frontiere (sospesa per 3 mesi dal governo centrale causa sospette negligenze sul regolamento, lasciando per strada letteralmente migliaia di pazienti in cura tra Tigray, Amhara ed Afar) indicano che gli stupri sistematici stimati si aggirino intorno ai 10.000 casi: stima per difetto, in quanto molte donne non testimoniano per paura di ritorsioni. E’ risaputo che non solo in un contesto di guerra, le prese di posizione per testimoniare l’accaduto da parte delle donne vittime di queste violenze molte volte è l’omertà per loro vergogna o ancor peggio paura che l’aguzzino possa tronare a vendicarsi con l’ennesimo atto disumano.

Per quanto riguarda invece la fame come arma di guerra, da mesi all’interno del territorio del Tigray isolato dal mondo in blackout elettrico e comunicativo e dai confini quasi totalmente chiusi, anche l’operatività degli umanitari per supportare le persone bisognose, è stata minata dall’ insicurezza (si contano 23 operatori uccisi dal novembre 2020) sul movimento bloccato dai vari checkpoint di milizie occupanti il Tigray.

Ad oggi, oltre che mera strategia bellica nel mantenere silenziosa una guerra per non dare informazioni al nemico, le scelte politiche governative stanno intaccando considerevolmente l’accesso dei convogli umanitari in Tigray perché possano portare cibo, medicinali e carburante.

WFP – World Food Programme delle Nazioni Unite ha dichiarato che servirebbero 100 camion di forniture al giorno costanti per riuscire a sopperire alle mancanze di materiale di prima necessità e di sopravvivenza per le persone in Tigray. Si stima che in questi ultimi mesi siano riusciti ad accedervi meno del 10% degli aiuti: convogli bloccati sull’unica via d’accesso considerata meno insicura e percorribile, via Semera in Afar. I camion devono passare per iter burocratici ed amministrativi, di sdoganamento che, per le modalità di scelte politiche, non permettono tempi brevi, ma anzi stanno creando ulteriore collo di bottiglia per l’accesso del materiale umanitario.

“Non siamo in grado di radunare convogli di dimensioni significative a causa della mancanza di camion”, ha affermato un portavoce del Programma alimentare mondiale.

Secondo le Nazioni Unite nei due mesi fino al 16 settembre, 466 camion erano entrati nel Tigray attraverso la regione dell’Afar, ma solo 38 avevano fatto il viaggio di ritorno.

Perché i camion non tornano dal Tigray? Il TPLF in una nota afferma “Ai camionisti viene fornito carburante che è sufficiente solo per un viaggio di sola andata verso il Tigray. Non viene fornito loro con carburante di riserva per il ritorno che è consuetudine in tali viaggi”.

Il governo centrale etiope ha accusato il TDF – Tigray Defence Forces di averli sequestrati, rubati per i suoi scopi bellici: trasporto di materiale e personale militare, etichettato giuridicamente dal governo come terroristi e perseguirli come tali con ogni mezzo in nome della sicurezza nazionale. Per ora non ci sono prove di ciò.

Il TPLF ha affermato che tanti camionisti sono di etnia tigrina ed hanno subìto violenze e intimidazioni durante il passaggio nei posti di blocco presidiati da personale militare federale e polizia locale in loco ed hanno paura di nuove repressioni ed abusi così da non essere disposti ad effettuare il viaggio di ritorno.

Ci sono effettive restrizioni a livello di banche e conti correnti ridotti e bloccati come molteplici attività commerciali tigrine chiuse per volontà governativa: non c’è abbastanza denaro per i camionisti al loro arrivo in Tigray. Nel contempo il commissario etiope per la gestione nazionale del rischio di disastri, Mitiku Kassa, ha respinto l’idea che una carenza di carburante stia fermando i camion.

L’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), ha chiarito che le ragioni dichiarate dai conducenti che non vogliono tornare indietro “sono la mancanza di carburante per tornare, così come i conducenti che temono per la loro sicurezza”.

All’inizio di settembre 2021 l’ ONU ha dichiarato: “Secondo quanto riferito, le autorità della regione di Afar hanno negato l’autorizzazione al movimento delle autocisterne per il transito verso il Tigray”

Una riunione delle Nazioni Unite e di altre agenzie umanitarie a fine agosto ha anche menzionato la mancanza di denaro e carburante come tra le cause che riguardano il ritorno dei camion, osservando che potevano trasportare solo carburante sufficiente per arrivare a destinazione.

Le agenzie hanno dichiarato: “A causa di ciò, della limitazione dei contanti e delle ulteriori difficoltà nel trovare carburante, è molto difficile per i camion tornare da (la capitale del Tigray n.d.r.) Mekelle”

L’ONU stima che siano necessari 200.000 litri di carburante ogni settimana e afferma che dal 12 luglio solo 300.000 litri hanno raggiunto il Tigray.

L’ ONU aggiunge che l’ultima autocisterna è entrato in Tigray il 29 luglio e le scorte disponibili sono state esaurite il 17 settembre.

Nove autocisterne sono bloccate a Semera, la capitale della regione di Afar, dal 21 settembre, in attesa dell’approvazione del governo per trasferirsi nel Tigray.

Un funzionario umanitario nel Tigray ha recentemente dichiarato all’AFP che molti camionisti del Tigray hanno subito molestie ai posti di blocco al di fuori della loro regione.

L’ONU ha dichiarato: “Tra le ragioni addotte dagli autisti c’è… la paura per la loro sicurezza in quanto sono stati oggetto di percosse, molestie, intimidazioni e furti sulla rotta da Semera a Mekelle”. Le Nazioni Unite hanno segnalato ad agosto un episodio di molestie e abusi nei confronti di una delle proprie missioni nel Tigray per valutare la situazione del trasporto stradale, che ha attribuito alla polizia in Afar.

Il governo etiope afferma di aver ridotto i posti di blocco lungo questa rotta nel Tigray da sette a due, al fine di migliorare la circolazione degli aiuti: “Sebbene questo problema sia stato affrontato per facilitare il flusso regolare, il numero di camion inviati dagli attori umanitari non è ancora aumentato”, ha affermato Billene Seyoum, portavoce dell’ufficio del primo ministro etiope.

Davide Tommasin
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