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Etiopia, la catastrofe in Tigray voluta da Abiy attenzione sia più alta

11/06/21 by Davide Tommasin

Il Tigray è in una situazione ormai che ha superato la definizione di crisi, ma si dovrebbe definire una catastrofe umanitaria per i numeri di civili coinvolti ed i crimini di guerra e contro l’umanità segnalati ormai in più di 7 messi di guerra e repressione etnica: milioni di sfollati interni, il 90% delle persone bisognose di supporto, migliaia di stupri a danno di donne, anziane, bambine ed anche in alcuni casi donne di chiesa, repressione etnica ormai dichiarata da più fronti, strutture sanitarie che sono state danneggiate per l’80% sul totale del territorio e che tutt’ ora hanno problemi a fornire supporto medico.

Ci sono ancora realtà umanitarie che denunciano che non possono operare in sicurezza e sono bloccati nei loro spostamenti dai checkpoint dei soldati che controllano molte zone del Tigray.

Le truppe eritree stanno ancora occupando la maggior parte del territorio tigrino: sono presenti ancora dopo le pressanti richieste rivolte da mesi dalla comunità internazionale, anche se il governo etiope ha ormai dichiarato che usciranno quanto prima.

Per il discorso di sussistenza e supporto alimentare, la guerra, o per meglio dire, i soldati hanno saccheggiato e distrutto raccolti, incendiato campi (report che hanno utilizzato foto satellitari, come evidenze, in cui sono visibili aree totalmente annerite dagli incendi), rubato ed ucciso bestiame: ormai è assodato che la fame è una delle armi di guerra utilizzate.

Il Sottosegretario Generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari e coordinatore dei soccorsi di emergenza Mark Lowcock ha dichiarato che “La carestia è adesso!” ed ha aggiunto che “La situazione andrà molto peggio.”

Mark Lowcock, durante la tavola rotonda USA – EU del 10 giugno incentrata sul Tigray ha anche riportato che ci sono state 131 violazioni verso gli accessi umanitari dichiarando numeri e relativi responsabili dei blocchi e dei crimini:

54 commesse dall’ENDF – Ethiopian National Defence Forces;

50 da parte delle truppe eritree;

4 commesse da forze etiopi ed eritree;

21 dalle milizie Amhara;

1 dalle truppe del TPLF (o meglio, ad oggi bisogna parlare di TDF – Tigray Defence Forces);

Nel contempo il democratico Premier Premio Nobel per la Pace Abiy Ahmed Ali ha dichiarato che i traditori interni ed esterni rappresentano una minaccia, giurando di combattere entrambi.

Sembra che domenica scorsa sia arrivato a Mekelle un carico di diverse tonnellate di armi chimiche.

Armi che servirebbero a sferrare l’ultimo attacco per risolvere in maniera definitiva la questione e dare la vittoria ad Abiy sui nemici dichiarati terroristi dal governo etiope, ovvero i membri del partito del TPLF – Tigray People’s Liberation Front.

Indiscrezioni ancora tutte da confutare, potenzialmente rasenti la mera speculazione, ma che dovrebbero comunque far tenere ancor più alta l’attenzione verso il Tigray visto la gravissima situazione umanitaria in atto.

Diversi osservatori ed analisti ipotizzano che le dichiarazioni del Premier siano un segnale per dichiarare azioni pratiche per la ricerca di consensi visto le imminenti elezioni del 21 giugno.

Mentre sul fronte internazionale l’ Italia il 9 giugno, tramite un sommesso tweet indiretto da parte dell’ Ambasciata Italiana in Etiopia, dopo mesi di alcuna dichiarazione da parte di alte cariche del governo Draghi sulla situazione in Tigray, ha espresso che:

“L’Italia aderisce all’appello internazionale per un cessate il fuoco umanitario in Tigray :la popolazione civile deve essere protetta, le attività agricole devono essere agevolate e l’accesso umanitario deve essere consentito per garantire la sicurezza alimentare a tutto il popolo etiope.”

Per l’ Europa invece, sulla soglia del G7 Josep Borrell, l’ alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, lancia un messaggio al Tigray ed ai tigrini:

“Non siete soli. Alle parti coinvolte nel conflitto (i responsabili accusati di crimini di guerra e violazioni sui diritti umani n.d.r.) diciamo: il mondo sta monitorando. Sarete ritenute responsabili.”

In definitiva sembra che su più fronti, nel bene e nel male, la situazione per il Tigray e per il suo popolo sia in procinto di vedere delle evoluzioni: la speranza, nel contempo, è che prendano il sopravvento le decisioni e soprattutto le azioni pratiche/politiche per il bene delle persone e che possano ristabilire quanto prima l’ordine delle cose.

Davide Tommasin
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