“Vogliono distruggere il popolo del Tigray” è la dichiarazione video del capo della Chiesa ortodossa etiope nei suoi primi commenti pubblici sulla guerra nella regione del Tigray.
Critica aspramente le azioni dell’Etiopia, dicendo che crede che sia un genocidio.
L’ anziano patriarca Abune Mathias di etnia tigrina, si rivolge a decine di milioni di seguaci della chiesa e alla comunità internazionale, dicendo che i suoi precedenti tentativi di parlare sono stati bloccati.
La sua dichiarazione è una video testimonianza registrata il mese scorso in Etiopia con un telefonino. Il video viene condiviso mentre sono già passati sei mesi di guerra in Tigray.
Migliaia di persone sono morte, sono state uccise per mano dell’ esercito del governo etiope e dalle truppe alleate eritree. Decine di testimonianze denunciano che l’ etnia tigrina è stata presa di mira nella “veloce azione di polizia” voluta dal Premier Abiy Ahmed per destituire e fermare il TPLF ed i suoi membri.
“Non ho chiaro il motivo per cui vogliono dichiarare il genocidio del popolo del Tigray”, dice Abune Mathias, parlando in amarico ed elencando presunte atrocità tra cui la distruzione di chiese, massacri, fame forzata e saccheggi. “Non è colpa del popolo Tigray. Il mondo intero dovrebbe saperlo. “
Aggiungendo che “questa brutta stagione potrebbe passare” ed esorta il mondo ad agire.
Per la situazione che si sta vivendo in Etiopia, dove media statali riflettono il pensiero del Governo centrale, mentre giornalisti indipendenti e tigrini sono stati repressi, censurati e molestati, le parole del patriarca hanno il peso di macigni e non si possono evitare.
Il video è stato girato grazie a Dennis Wadley, direttore dell’ organizzazione statunitense Bridges of Hopes ed amico del leader della chiesa ortodossa da diversi anni.
E’ stata una cosa impulsiva quella di registrare il video da parte di D. Wadley: lo ha fatto durante una visita ad Addis Abeba il mese scorso.
Da dichiarazione di Wadley ad AP appena tornato negli USA venerdì scorso:
“Avevo appena tirato fuori il mio iPhone e ho detto che se voleva spargere la voce, potevamo farlo”, “Ha dato modo di far sfogato il suo cuore. … È così triste. L’ho abbracciato davvero: non l’avevo mai fatto prima.”
L’ esule Abune Merkorios, funzionario della chiesa al fianco del patriarca ortodosso, sempre lo scorso venerdì ad AP ha confermato la volontà di Abune Mathias di rendere il video pubblico.
“Ho detto molte cose ma nessuno permette che il messaggio venga condiviso. Piuttosto, viene soffocato e censurato” queste le parole che si sentono dire dal patriarca nel video.
“Molte barbarie sono state condotte” in questi giorni in tutta l’Etiopia, dice, ma “ciò che sta accadendo nel Tigray è della massima brutalità e crudeltà”.
“Dio giudicherà tutto” aggiunge.
Il governo etiope si dice “profondamente costernato” per la morte di civili incolpando gli ex leader del Tigray, il TPLF. Da qualche giorno lo stesso governo ha etichettato ufficialmente questo partito politico, insieme all’ “Shene” (OLA – Oromo Liberation Armi), alla stregua di organizzazioni terroristiche. Lo stesso governo ha negato la profilazione ed i targeting diffusi verso i tigrini.
A differenza del governo, ci sono testimonianze che raccontano una storia diversa di quel che è accaduto e sta accadendo in Tigray. Persone che parlano di corpi esanimi sparsi in terra, in zone di massacri. Tigrini radunati, deportati e donne violentate dalle forze etiopi ed alleate. Altri hanno descritto di familiari e colleghi, inclusi sacerdoti, che sono stati presi e detenuti, spesso senza accusa, ma solo per il sospetto di essere filo-TPLF.
Le stesse chiese sono state teatro di massacri e di fosse comuni, come ha testimoniato un diacono ad AP. Crede che solo ad Axum, in un fine settimana di novembre, si possano contare circa 800 persone uccise nella chiesa ed in giro per la città. “Le persone cadevano a terra come foglie”, dice il patriarca di Axum, la città più santa d’Etiopia.
Abune Mathias, classe 1942, è stato schietto e diretto in passato. Nel 1980, è diventato il primo leader della chiesa a denunciare il governo del regime comunista con a capo Mènghistu Hailé Mariàm, detto il Negus Rosso. Per questo “è stato costretto a vivere all’estero per più di trent’anni”, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati.
Un po’ nerd, un po’ ciclista con la voglia di tornare a girare l’ Etiopia